Lo so che arrivo tardi, ma meglio tardi che mai, e poi non
ho fretta. Ho pure aspettato la sesta puntata (e non sono tante, dodici in
tutto) prima di decidere di scriverci un post. Perché volevo essere sicura.
Sicura che “Gomorra. La serie” mi piacesse.
Non sono una fan di Roberto Saviano, anzi: il suo libro l’ho
letto a fatica, e il film l’ho guardato perché provo un’irresistibile attrazione
fisica e intellettuale per Tony Servillo, lo confesso.
Invece “Gomorra. La serie”, ispirata al bestseller di
Saviano e da lui ideata, diretta da Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio
Cupellini, attualmente in onda su Rai3 il sabato sera alle 22.00, è super!
Per questi dieci motivi che ho scritto in ordine casuale.
1. Per la fotografia che è livida, cupa, buia, e ti fa
stringere lo stomaco.
2. Per la musica che devi ascoltare mentre corri, quando il
cuore già ti pulsa di brutto.
3. Per i dialoghi che sono perfetti al punto che ti sembra
di essere lì nascosta ad ascoltare cosa si stanno dicendo.
4. Per la scelta di usare il dialetto napoletano come lingua
ufficiale. E, puntata dopo puntata, scoprire che inizi anche un po’ a capirlo (ci
sono i sottotitoli in italiano…) e che ti piace perché è sorprendentemente
esaustivo ed espressivo.
5. Per i personaggi che sono intensi ed evolvono
psicologicamente nel corso della storia, così ti sorprendono e ti piacciono di
più.
6. Per gli attori che sono tutti bravissimi. Salvatore
Esposito che interpreta Genny Savastano, il figlio del boss, che all’inizio è
solo un ciccione insicuro e pauroso e che poi, dopo l’allucinante viaggio in
Honduras voluto da “mammà”, se ne torna a Napoli furibondo e fuori di testa,
coi capelli da punk, dimagrito, cattivissimo e con terribili idee chiare in
testa. Marco D’Amore che interpreta Ciro, il tuttofare del boss che ci metti
poco a capire che se fosse nato in un altro posto, potrebbe essere un bravo
ragazzo, sveglio, intelligente, magari laureato, certamente capace di riuscire in
qualunque cosa e forse te ne saresti pure innamorata. Maria Pia Calzone che è
Donna Imma Savastano, la mamma che nessuno vorrebbe avere, gelida, rigida,
spietata, col sopracciglio alzato, e che vive in una casa da sceicco
psicopatico. E Fortunato Cerlino, ossia Pietro Savastano, il boss che finisce
in carcere, incazzato nero (anzi grigio, perché è il grigio, assolutamente il grigio,
il suo colore) perché si accorge che la situazione fuori gli sta sfuggendo di
mano.
7. Per il ritmo della narrazione che è avvincente,
incalzante, sempre teso.
8. Per il tono della narrazione che è oggettivo e non cede a
facili, inutili e falsi moralismi.
9. Perché non ci sono i buoni e non ne senti la mancanza, e
perché probabilmente non ci sarà il lieto fine. Ma questo ancora non lo so.
10. Perché per una volta io e C. siamo d’accordo. E non capita
spesso.
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