I migliori anni della mia vita li ho trascorsi in Grecia, da
bambina.
Quando le estati non finivano mai, il freddo non c’era e i
pomeriggi erano lunghi, selvaggi, assolati.
Quando a scuola ci andavo col maggiolino rosso, seduta
dietro su sedili scozzesi.
Quando intorno avevo ovunque “bellezza”: in cima
all’Acropoli, tra le rovine di Micene, sull’erba di Olimpia, sui gradini del
teatro di Epidauro, in groppa all’asinello a Santorini, al mare a Capo Sounion.
Quando mangiavo souvlaki, gamberetti con feta e pomodoro, pomodori
ripieni, pistacchi freschi, tiropita e uva rubata.
Quando ai piedi portavo sandali di cuoio comprati ogni anno
un po’ più grandi in un negozietto della Plaka, sempre lo stesso.
Quando le borse erano di lana ruvida con le trecce ai lati.
Quando mia madre era contenta e bellissima e indossava
foulard colorati con le monetine d’oro sulla fronte.
Quando solo io e mia sorella conoscevamo le parole delle
canzoni di Raffaella Carrà perché gli altri bambini non lo sapevano l’italiano
ma facevano finta di saperlo e urlavamo a squarciagola “cuore, batticuore, mi è
sembrato di sentire un rumore” ballando intorno al tavolo.
Quando giocavo a casa della signora Sofia e mi buttavo dalla
finestra sul lettone coi suoi tre figli, due gemelli pestiferi e simpatici e
Maria che era mia amica, e poi mangiavamo l’uovo alla coque con il pane dentro.
Quando a Pasqua ci regalavano pulcini vivi e colorati che alla fine crepavano e mio padre lanciava giù dal balcone e poi litigava con mia madre.
Quando d’estate mio zio arrivava con i suoi amici e mia
madre gli cucinava la pasta in cucina. Poi mi gettava tra le onde per far colpo
sulle ragazze o si tuffava dagli scogli dicendomi che se avesse sbagliato la
traiettoria si sarebbe spaccato la testa in due come era successo a un suo
amico. E di notte mi terrorizzava con agguati al buio tra le rocce sul
promontorio, facendo la faccia da pazzo con la pila sotto il mento a
illuminargli il viso e raccontandomi storie paurose o facendomi credere che mia
madre fosse morta. Quando, seduta sul sedile posteriore della sua auto, lo
spiavo mentre faceva ascoltare la musica giusta alla sua fidanzata che era
bella, alta, magra, sportiva, coi capelli rossi e mezzo greca.
Quando mio nonno partiva a nuoto dalla riva e poi non lo vedevamo
più e pensavamo ogni volta che fosse morto tra le eliche del traghetto che
passava di lì tutti i giorni, al largo.
Quando mio padre faceva seccare al sole le stelle marine per
poi appenderle sulle pareti della casa al mare.
Quando il mare era un tappeto di meduse rosse.
Quando alla sera uscivamo a mangiare e andavamo nel solito
ristorante del Pireo, lo stesso davanti al quale, con un'incredibile coincidenza, mi ha
lasciato qualche anno fa un taxi all’inizio di una vacanza che non è stata la migliore della mia vita.
(foto di Atena M)
Struggente davvero....
RispondiEliminaIn My Life, Beatles come colonna sonora....
RispondiEliminanarici, palato e cuore si sono svegliati... intanto che gli occhi si riempivano di lacrime!!
RispondiEliminaNon riesco a postare video; vi do un link http://youtu.be/ErZlGWDEtUE
RispondiEliminaAscoltandola mi viene in mente la strada costiera tra Atene e Sounio :)
RispondiEliminaGrazie Cat Steven....un mito. bellissima.
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