giovedì 28 luglio 2016

La comune

Ieri sera ho visto un film interessante: “La comune” di Thomas Vinterberg.
Anni Settanta, Danimarca, Erik - architetto che non fa l’architetto ma il prof all’università – sua moglie Anna che è giornalista televisiva e la loro figlia adolescente decidono di non vendere la megacasa con campo da tennis e porticciolo annesso che lui ha ereditato da un padre con cui non parlava da anni, ma di andarci ad abitare. Visto che le spese sarebbero elevatissime, Anna convince il marito a creare una comune. Chiamano degli amici e la comune velocemente si forma: c’è la single rossa che ama ridere e divertirsi; c’è l’amico di una vita, simpatico e squattrinato; c’è la coppia con bimbo cardiopatico che per attirare l’attenzione dice a tutti che morirà a nove anni; c’è l’immigrato sensibile che piange spesso, parla male e che non trova un lavoro stabile.
La vita nella comune è divertente e il sistema sembrerebbe funzionare. Ma Erik ha bisogno di attenzione, ha in ballo un importante progetto e vorrebbe parlarne con la moglie che però non lo ascolta, un po’ perché è distratta dagli altri, un po’ perché gli aveva già detto di essersi stufata di ascoltare solo la sua voce. Così, come per incanto, entra in scena Emma, una giovane e attraente studentessa che ci mette trenta secondi a farsi baciare dal prof durante un inutile colloquio su Le Corbusier. Erik ed Emma s’innamorano e si fanno beccare a letto dalla figlia di Erik che sorprendentemente decide di tenere il gioco al padre. Lui però è un uomo troppo corretto (?) e confessa il tradimento alla moglie che non reagisce male, anzi arriva a proporgli di portare la giovane amante a vivere nella comune con loro. Nel frattempo la figlia adolescente decide di perdere la verginità con un ragazzo poco più grande di lei.
Quando Emma si trasferirà nella comune, non tutti riusciranno a mantenere l’equilibrio. Erik vorrebbe potersi non occupare delle fragilità femminili che lo circondano e preferirebbe trascorrere il tempo lavorando e dormendo; Emma è spontanea e matura e proprio per questo si rende conto dell’infelicità in cui sta sprofondando la moglie; la figlia osserva tutto e si lega sempre più al suo ragazzino; gli altri si preoccupano, non riescono a prendere decisioni sul da farsi e spesso si limitano a cambiare discorso; Anna non regge, cerca di sorridere ma il marito le manca, si sente vecchia, si sente sola, gli amici non le bastano, crolla sul lavoro, beve troppo, diventa tristissima e anche un po’ cattiva. Alla fine sarà la figlia adolescente a suggerire alla madre l’unica soluzione possibile per sistemare le cose.

“La comune”, nonostante il tema difficile, è un film leggero e divertente. Alla fine ti viene da pensare che la vita di gruppo non sia per tutti e che probabilmente sia un’utopia, ma che forse sarebbe bello provarci, che sarebbe bello rimettere in discussione se stessi, l’idea tradizionale della famiglia e affrontare le conseguenze di scelte anticonvenzionali con calma, senza paura di lunghi silenzi, ridendo e rimanendo ottimisti, sicuri che prima o poi un modo si trova per sistemare le cose. Riflessione infantile? Probabilmente sì. Okay. Comunque la coppia Erik/Anna sarebbe scoppiata lo stesso, comune o non comune.

Voto: 7 e 1/2




lunedì 25 luglio 2016

Voci della verità (17)

In macchina, in coda sulla Provinciale, un torrido pomeriggio di luglio.
“Guardate, c’è un negozio con l’insegna “Sex Shop”. Cosa si vende in un “Sex Shop”, mamma?”, mi chiede S. incuriosita.
“Mah, non saprei”, rispondo un po’ troppo imbarazzata. “Sicuramente qualcosa che ha a che fare col sesso, magari della biancheria intima particolarmente sensuale.”
“Come dei tanga!!!”, esclama dall’altezza dei suoi quasi tredici anni F.
“Ah. Però, scusate, se il sesso si fa nudi, non capisco a cosa servano delle mutande!?”, incalza contrariata la femmina diabolica.
“Magari ad aumentare il desiderio!?”, ribatto cercando di spiegarle l’inspiegabile.
“Ah. Hai ragione. Ho capito. Ma allora questo negozio dovrebbe chiamarsi “Pre-Sex Shop”.


sabato 23 luglio 2016

Qualcosa di terribile

Qualcosa di terribile stava succedendo nel mondo, e loro quasi non se ne accorgevano.


giovedì 21 luglio 2016

Peltro

Il servizio di posate che credevo d’argento in realtà era di peltro.
“Mi dispiace, vale pochissimo. È peltro. Mi pare molto più interessante la cassa di legno in cui è contenuto”, mi disse, dopo averlo attentamente esaminato, l’antiquaria a cui avrei voluto venderlo.
Quel servizio di posate era un dono di mio padre. Roba inutile, avevo pensato quando me lo regalò. Avevo vent’anni, vivevo in un bilocale in periferia e di tutte quelle posate non sapevo cosa farmene, dei coltelli per il pesce soprattutto. Ma mi ero convinta avessero un valore. Così le conservai per anni, chiuse in un armadio, ordinatamente sistemate in base a una destinazione d’uso a me sconosciuta, legate tra loro da sottili nastrini di raso viola. Ogni tanto le controllavo ed erano sempre al loro posto. Precise e ordinate. Le portai con me quando mi sposai, e mi seguirono anche nella casa nuova.
Poi mio padre morì e non mi lasciò nulla. Dopo qualche mese, confusa e amareggiata, pensai di sbarazzarmene. Decisi di vendere il servizio di posate e di dividere il ricavato con mia sorella. Ma ciò che ottenni fu solo un misero scambio: le mie inutili posate di peltro in cambio di un candelabro, di una vecchia stampa a tema religioso e di qualche spicciolo. Certamente non ci guadagnai.


lunedì 18 luglio 2016

Ecco come andarono le cose tra loro

“Ecco come andarono le cose tra loro, per diciotto anni. In segreto, Iris temeva che venisse il momento in cui Edward avrebbe voluto qualcosa di più di semplici parole e odori; in cui avrebbe voluto guardare l’altro uomo a letto con lei o (Dio non voglia) avrebbe cercato di entrare nel letto con loro. Ma questo non accadde mai. Invecchiarono, e gli episodi divennero meno frequenti. A parte questi, dovete sapere, la loro vita era abbastanza calma. Avevano la scrittura dei romanzi a tenerli impegnati, e un fox terrier a pelo ruvido per divertirli, e quella socievolezza, quella facilità di capirsi, che è il grande vantaggio del matrimonio. Nei periodi di bonaccia, Iris pensava alle altre coppie che conosceva. Tutte avevano dei segreti: il bere, il gioco d’azzardo, i problemi di denaro. Ascoltava le loro storie e pensava: “I nostri problemi non sono peggiori di quelli di chiunque altro”. Poi Edward mandava un uomo nel suo letto, e lei pensava: “Sto mentendo a me stessa. I nostri sono peggio”. (David Leavitt, “I due Hotel Francfort”)

(opera di Ed Templeton)

venerdì 1 luglio 2016

Il bello della vita secondo me (58)

Nell’ora dell’aperitivo, quando la luce dell’estate è perfetta, tre signore arrivano puntuali e sorridenti sul campo da tennis. In una mano la racchetta, nell’altra la borsetta. Due chiacchiere e poi inizia la lezione.
Esercitano il diritto e poi il rovescio a due mani; corrono incontro a ogni palla senza risparmiarsi; ridono; si prendono in giro; ce la mettono tutta; sudano tantissimo; hanno il fiatone; si accasciano a terra; urlano; mancano la palla; steccano; tirano in rete; bevono; tirano il fiato; si stancano tantissimo; raccolgono le palline e le mettono nel cesto; brontolano quando il maestro gli fa cambiare l’impugnatura del diritto “perché, signore, il tennis negli ultimi trent’anni si è evoluto”, ma poi lo fanno, cambiano l’impugnatura ed entusiaste ammirano la nuova efficacia dei propri colpi; giocano per vincere un minitorneo a tre che occupa gli ultimi dieci minuti della lezione. Poi l’ora finisce, battono il cinque al maestro, lo pagano, si asciugano il sudore, si scambiano due chiacchiere, si salutano e tornano a casa contente. In una mano la racchetta, nell’altra la borsetta.
Il bello della vita secondo me.