giovedì 21 luglio 2016

Peltro

Il servizio di posate che credevo d’argento in realtà era di peltro.
“Mi dispiace, vale pochissimo. È peltro. Mi pare molto più interessante la cassa di legno in cui è contenuto”, mi disse, dopo averlo attentamente esaminato, l’antiquaria a cui avrei voluto venderlo.
Quel servizio di posate era un dono di mio padre. Roba inutile, avevo pensato quando me lo regalò. Avevo vent’anni, vivevo in un bilocale in periferia e di tutte quelle posate non sapevo cosa farmene, dei coltelli per il pesce soprattutto. Ma mi ero convinta avessero un valore. Così le conservai per anni, chiuse in un armadio, ordinatamente sistemate in base a una destinazione d’uso a me sconosciuta, legate tra loro da sottili nastrini di raso viola. Ogni tanto le controllavo ed erano sempre al loro posto. Precise e ordinate. Le portai con me quando mi sposai, e mi seguirono anche nella casa nuova.
Poi mio padre morì e non mi lasciò nulla. Dopo qualche mese, confusa e amareggiata, pensai di sbarazzarmene. Decisi di vendere il servizio di posate e di dividere il ricavato con mia sorella. Ma ciò che ottenni fu solo un misero scambio: le mie inutili posate di peltro in cambio di un candelabro, di una vecchia stampa a tema religioso e di qualche spicciolo. Certamente non ci guadagnai.


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