Il servizio di posate che credevo d’argento in realtà era di
peltro.
“Mi dispiace, vale pochissimo. È peltro. Mi pare molto più
interessante la cassa di legno in cui è contenuto”, mi disse, dopo averlo
attentamente esaminato, l’antiquaria a cui avrei voluto venderlo.
Quel servizio di posate era un dono di mio padre. Roba
inutile, avevo pensato quando me lo regalò. Avevo vent’anni, vivevo in un
bilocale in periferia e di tutte quelle posate non sapevo cosa farmene, dei coltelli
per il pesce soprattutto. Ma mi ero convinta avessero un valore. Così le conservai
per anni, chiuse in un armadio, ordinatamente sistemate in base a una
destinazione d’uso a me sconosciuta, legate tra loro da sottili nastrini di
raso viola. Ogni tanto le controllavo ed erano sempre al loro posto. Precise e
ordinate. Le portai con me quando mi sposai, e mi seguirono anche nella casa
nuova.
Poi mio padre morì e non mi lasciò nulla. Dopo qualche mese,
confusa e amareggiata, pensai di sbarazzarmene. Decisi di vendere il servizio
di posate e di dividere il ricavato con mia sorella. Ma ciò che ottenni fu solo
un misero scambio: le mie inutili posate di peltro in cambio di un candelabro,
di una vecchia stampa a tema religioso e di qualche spicciolo. Certamente non
ci guadagnai.
IN-COOL-EIGHT
RispondiEliminaerano bellissime, soprattutto la scatola di legno
RispondiElimina