martedì 29 aprile 2014

Jane/Serge

La storia di questa coppia è la dimostrazione di quanto in amore sia sottile il confine tra attrazione e repulsione, tra brutto e bello, tra passione e prevaricazione, tra dolore e piacere, tra odio e affetto.


La prima cosa che mi viene in mente quando penso a Jane Birkin e a Serge Gainsbourg è il crescendo di sospiri e di gemiti che fanno da sottofondo a “Je t’aime… moi non plus”.
La seconda sono le sigarette. Gitanes, per la precisione. Le sigarette di Serge e che anche mio padre per un periodo deve aver fumato, forse perché faceva figo. E probabilmente mio padre lo invidiava anche un po’ Serge, uomo di mondo, spaccone e romantico, con tutte quelle donne ai suoi piedi…
La terza è il video della canzone “Lemon Incest” in cui compaiono Charlotte, la figlia di Serge e Jane, e il padre, sdraiati su un letto matrimoniale. Lei sospira e sembra sua madre qualche anno prima, solo che è una bambina. Un video equivoco, volutamente equivoco, per una canzona equivoca, volutamente equivoca. Cinque minuti di imbarazzo. Ma così era Serge, imbarazzante e affascinante allo stesso tempo, schifoso e geniale allo stesso tempo.


Jane Birkin e Serge Gainsbourg sono stati una coppia sensuale e scandalosa.
Si conoscono alla fine degli anni Sessanta sul set di un film. Lui ha quarant’anni, lei venti. Lui si è appena mollato nientemeno che con Brigitte Bardot. Lei è una modella inglese, giovane, fresca, con un corpo magro e lungo da adolescente, elegante in maniera naturale, con occhi grandi più o meno innocenti, con la bocca carnosa e i denti davanti separati, con quella allure semplice e spontanea che non passa mai di moda (non a caso, qualche anno dopo, la casa di moda Hermès le dedicò la leggendaria borsa che prese il suo nome: la Birkin bag. Ma anche il cestino di vimini che lei utilizzava a mo' di borsa non era niente male!). In realtà Jane ha già un matrimonio fallito alle spalle, una figlia in fasce e un ruolo in “Blow Up” di Michelangelo Antonioni.


Inizialmente lei è infastidita dall’aspetto e dai modi rozzi di lui. Come darle torto?, vien da pensare, era talmente brutto! In realtà non lo conosce.
Lui è famoso, ma solo in Francia. È uno chansonnier, ma anche un pittore e un attore. È l’emblema dello snob francese, del genio e della sregolatezza, di colui che vive facendo solo quello che gli pare, di colui che ama le donne totalmente per un giorno e poi le pianta. È arrogante, cinico, inquieto, con la puzza francese sotto il naso. È spaccone, volgare, a volte osceno. È pieno di vizi. Va controcorrente.
Jane, appena lo conosce, cede al suo fascino e al suo modo di vivere. Come tutte le altre, prima e dopo di lei. I due si mettono insieme. Lei accetta di cantare “Je t’aime… moi non plus” anche se Serge l’aveva scritta per BB. Jane se ne frega e fa bene. È un successo e uno shock nel medesimo tempo. Il Vaticano censura, Serge e Jane ringraziano (sono andata a riascoltarmi il brano e un po’ mi ha fatto sorridere: all’inizio sembra la colonna sonora di un film porno, ma non c’è alcun dubbio che sia spinto, molto spinto).
Dopo qualche anno nasce Charlotte, degna erede dei due genitori, attuale musa del controverso e scandaloso regista danese Lars von Trier.


 Serge fuma e beve tantissimo, ha un infarto ma se ne sbatte. Domina e sottomette Jane, ma forse è solo apparenza, perché a lei il gioco sembra piacere.
Serge vuole il successo, la fama a ogni costo. Esagera. La coppia, dopo dodici anni di vita felice e in simbiosi, va in crisi. Lei si dispera e tenta il suicidio, poi si decide e lo lascia per un regista da cui avrà un’altra figlia e una vita normale. Siamo agli inizi degli anni Ottanta.
Lui soffre, si mette con un’altra modella, fuma e beve come un matto. Scrive canzoni che Jane continua a cantare, perché Jane continua a essere la sua musa. Nonostante tutto. Poi lui muore. Infarto. 1991.


Qualche anno fa a un giornalista che le chiedeva il perché di un amore così totalizzante con una persona così difficile e borderline, Jane rispose: “perché la sua malattia era infinitamente più interessante della salute di chiunque altro”. Come darle torto? 

ps ho scoperto che a Bologna, alla Galleria Ono Arte Contemporanea, dal 30 aprile al 14 giugno ci sarà una mostra fotografica su Jane e Serge: "Jane et Serge: une histoire de famille". Quasi quasi ci faccio un salto...


lunedì 28 aprile 2014

Gigolò per caso

“Gigolò per caso” è un film gentile.


John Turturro (regista e protagonista) vive a New York, è un uomo semplice, calmo, di poche parole, non giovanissimo, che per lavoro crea composizioni floreali con perizia e pazienza. Fatica però a sbarcare il lunario e così l’amico di una vita Woody Allen –  che a sua volta ha bisogno di soldi perché la sua piccola libreria di quartiere ha chiuso i battenti - un po’ per scherzo, un po’ per davvero gli propone di arrotondare facendo il gigolò d’alto bordo. Fioravante - questo è  l’evocativo nome di Turturro nel film - inizialmente declina l’invito ridendoci sopra, ma poi ci ripensa e, siccome è un uomo aperto alla vita, alla fine ci sta. Inizia a fare il gigolò. Con sorprendente successo. E Woody diventa il suo improbabile “pappa”.
Il film racconta di un uomo solo che ama le donne, che è curioso delle donne e che le rispetta. Le rispetta nelle loro esigenze, nei loro modi, nei loro silenzi. E per questo con loro ha successo.
Lui è gentile, semplice nei modi, ma sicuro di sé. Sa ballare, sa ascoltare, parla in latino, ama le buone letture, cucina il pesce, crea belle composizioni floreali che porta in regalo alle clienti, sa fare i massaggi. Un uomo che dà attenzione a donne che non ne hanno più: la prima cliente è una splendida Sharon Stone, dermatologa sposata con un riccone che a lei preferisce la montagna, la seconda è una esplosiva e assatanata Sofia Vergara, la terza è Vanessa Paradis, la vedova di un rabbino, con sei figli, imprigionata in regole di comportamento asfissianti, che ha dimenticato cosa significhino i capelli sciolti e le mani di un uomo. Fioravante, in arte “Virgilio”, glielo ricorda, e lei si libera. In cambio però Fioravante s’innamora di lei, dei suoi silenzi e del suo rigore, così l’appuntamento a tre con Sharon e Sofia va a rotoli. Virgilio fa cilecca. Come reagiscono le due? Senza isterismi, con gentilezza e comprensione. Commovente.
Il film scorre via liscio e piacevole fino al finale che ovviamente non rivelo. Turturro è meglio di Richard Gere in “American gigolò”. E Woody Allen è divertente, in tanti momenti: quando per esempio è alle prese con la sua bella e colorata famiglia, o quando ha a che fare con la rigida comunità di ebrei ortodossi di Brooklyn.
“Gigolò per caso” è un bel film, educato con le donne. Ci voleva. E “Tu si na cosa grande” cantata da Vanessa Paradis non è niente male.



sabato 26 aprile 2014

Il bello della vita secondo me (6)

Arrivare in cima alla montagna.
Scattare il solito selfie.
Rendersi conto di essere bruttissime.
E riderci sopra.
Ogni volta.
Il bello della vita secondo me.


giovedì 24 aprile 2014

Tra donne è meglio

Il papà spiritoso da qualche giorno chiama i bambini a raccolta ogni volta che in tv passa la pubblicità di un farmaco che dovrebbe alleviare gli sbalzi d’umore della donna in sindrome premestruale o in premenopausa.
“Bambini, venite, c’è la pubblicità per la mamma!”, esclama tutto contento.
“Va bene, papà, ma si può sapere cos’è la menopausa?”, domanda una sera S., femmina diabolica.
“Vai a chiederlo alla mamma, per favore”.
“Facile così “, pensa tra sé e sé la mamma che, anche se in camera, tutto sente e tutto vede.
“Mamma, mamma, cos’è la menopausa?”
“La menopausa è quel periodo in cui la donna smette di avere le mestruazioni e quindi smette di poter avere bambini. Ciò accade intorno ai cinquant’anni”, chiarisce la mamma che, per inciso, non è né in sindrome premestruale né tantomeno in premenopausa. Forse.
“Ho capito, mamma, la donna è come un campo che viene seminato per tanti anni e per tanti anni dà tanti frutti buoni, ma alla fine non ce la fa più, e inaridisce pian piano”.
Che dire? La bambina promette bene.



martedì 22 aprile 2014

The beautiful gene - Open up the red box

scritto tutto d’un fiato

Quando l’ho conosciuto, mio marito divideva l’universo femminile in bionde e more. Poi sono arrivata io. Che rappresento la terza categoria, ai più sconosciuta: le rosse. Ora mio marito ha un figlio, coi capelli rossi. E una suocera, coi capelli rossi.
I capelli rossi. Su questo argomento avrei talmente tanto da dire che potrei dedicarci un blog, ma non è cosa. I capelli rossi: croce o delizia? croce e delizia?

Parto dalla cronaca. Circa tre anni fa la banca del seme più grande del mondo, per un periodo, ha smesso di accettare donatori con i capelli rossi. Perché? Perché la domanda non corrispondeva all’offerta: le donne interessate all’inseminazione artificiale non erano interessate al seme “rosso”. L’uomo con i capelli rossi, le lentiggini e la pelle chiara, insomma, pareva non corrispondere all’ideale dell’uomo perfetto, del principe azzurro. Quindi inutile metterlo sul mercato. Che dire? Che pensare? De gustibus? Eugenetica? Selezione della specie? Razzismo? Non saprei, ma procedo.
Si dice che noi coi capelli rossi siamo a rischio d’estinzione perché il nostro gene ha carattere recessivo. Si dice che siamo una specie rara (in Italia i rossi sono l’uno per cento della popolazione, in nord Europa il tredici) da tutelare, da catalogare, registrare e studiare prima che scompaia. E una fotografa di Fabrica, Marina Rosso, l'ha fatto davvero: è andata in giro per l'Europa a stanarci, e ci ha fotografato per schedarci, per documentare la nostra presenza e - a suo dire - la nostra bellezza. Ne è nato un libro fotografico e una mostra: "The beautiful gene", fino al tre giugno visitabile al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano.
Io e mio figlio siamo andati a vederle queste fotografie, e siamo rimasti interdetti. Non è facile spiegare il motivo del nostro shock. Ma vedere sulla nuda parete bianca quarantasette fotografie di uomini e donne rossi, schierati senza intenzioni estetiche, in una fredda classificazione, in un freddo inventario di facce quasi tutte “strane” ci ha sorpreso, sconvolto e tutto sommato anche irritato. Io mi sono cercata: femmina, capelli rossi scuri leggermente mossi, occhi scuri, lentiggini, corporatura e altezza normali. E mi sono trovata. Mio figlio si è cercato: maschio, capelli rossi/arancioni leggermente mossi, occhi azzurri, lentiggini, corporatura e altezza normali. E si è trovato.
Ma non siamo stati contenti.



A cena poi ho chiesto a mio figlio: “F., a tuo parere il principe azzurro ha i capelli rossi?”, la risposta è stata secca: “ No, mamma, le principesse hanno i capelli rossi, i principi no”. “Ma tu sei contento di avere i capelli rossi?”. “Sì”. “Se avessi la possibilità di cambiare colore ai capelli, lo faresti?”, “No”. E in effetti neanche a me è mai passata per l’anticamera del cervello l’idea di cambiarmi colore dei capelli. A me i miei capelli piacciono, e senza le mie lentiggini mi sentirei persa. 
Ma continuo a ripensarci a quelle fotografie, a questa storia dei rossi. Perché qualcosa non torna. Allora: se io e mio figlio fossimo nati nel Medioevo avremmo avuto vita dura; il principe cretino di "Frozen" ha i capelli rossi; lo psicopatico de "Gli Incredibili" ha i capelli rossi; è vero che il miglior amico di Harry Potter, Ron, è rosso e che alla fine è lui che si mette con Hermione;



e che le donne coi capelli ramati dipinte da Gustav Klimt sono magnetiche e magnifiche;


e che il dottor Owen di "Grey's Anatomy" è un figo;


e che Emily Dickinson e Ugo Foscolo avevano i capelli rossi, ma…

E ancora: non raggiungiamo i livelli raccontati da mia madre – a Milano nel dopoguerra capitava che le persone non le si sedessero vicino sul tram a causa del suo aspetto super lentigginoso – ma a mio figlio succede ancora di sentirsi chiedere: “ma cos’hai sulla faccia? cosa sono quei puntini? brufoli?”; appena nato poi era bellissimo, ma quante persone mi hanno detto: “ha i capelli rossi? non fa niente, è bello lo stesso”.
E che dire delle battute di quando ero giovane e, forse, bella? Rossa di capelli golosa di…, rossa di sera bel tempo si spera, ecc. E del famoso segreto delle rosse, quello che ti fa capire se una è rossa davvero oppure no? o dell’odore particolare che alcuni dicono abbiamo noi rossi? Aiuto!, potrei andare avanti pagine e pagine.
E ancora. Ho conosciuto uomini che nemmeno lontanamente mi avrebbero preso in considerazione, e altri che (mi piace pensarlo) sarebbero morti per me. Ho avuto un fidanzato che mi portava a tutti i concerti dei Simply Red, esibendomi come un trofeo.
E mi domando: è sano che mi sia sempre rifiutata di leggere “Anna dai capelli rossi” e persino di guardare il cartone animato, e con fatica - e solo perché obbligata dalla scuola - abbia letto “Rosso Malpelo”!?
Concludo segnalando che Jo Nesbo, in “Pipistrello”, fa innamorare Harry Hole di una splendida ragazza svedese dai capelli rossi, Birgitta. Evviva. Ma sono a metà libro, e magari è lei il terribile serial killer, e allora…  

lunedì 21 aprile 2014

Cena light

Mamma, papà, due figli e un nipotino di cinque anni sono a tavola. Quando la femmina diabolica prende la parola tutto ha inizio.
“Mamma, oggi una mia compagna mi ha detto che se dico la parola “schifo” offendo Dio”.
La mamma atea drizza le antenne, capta la parola chiave: “Dio”, “Dio”, “Dio”, va in allarme e prontamente interviene: “È una sciocchezza. Non usare la parola “schifo” perché non è una bella parola e basta, soprattutto se la riferisci al cibo o alle persone. Dio non c’entra niente”.
Il nipotino la guarda attento, e dice: “Ma, zia, Dio sente tutto e vede tutto, perché ha occhi dappertutto, sparsi su tutto il corpo. Qua, qua, qua e qua “, e indica con il ditino diversi punti del proprio corpo, poi continua: ”Dio ha occhi dappertutto e questi occhi sono rossi”.
“Accipicchia! e sono belli gli occhi rossi?” chiede il papà incuriosito dalla piega che sta prendendo la conversazione. “Sì, sì… il rosso è il mio colore preferito”, ma non sembra convintissimo. 
Poi la mamma chiede al figlio di dieci anni che ha deciso di essere ateo pure lui - anche se la mamma vorrebbe fargli capire che i bambini non possono essere atei ma ha scarsissime argomentazioni in proposito - “F., per te come è Dio?”
“Mah, per me Dio indossa una tunica bianca, ha i capelli neri e la barba nera, a punta. Insomma, hai presente Zeus? Ecco esattamente come lui”. E ride sotto i baffi che non ha.
“Per me, invece, è come papà ma ha la pelle azzurra”, interviene la femmina diabolica. “Pelle azzurra!?”, esclamano in coro mamma, papà, fratello e nipote. “Sì, così quando si va con l’aereo sopra le nuvole non lo si può vedere”. 
Ricapitoliamo: pelle azzurra per mimetizzarsi, occhi rossi sparsi per tutto il corpo per vedere ovunque, barba a punta e nera per omaggiare la classicità… e se avessero ragione?


venerdì 18 aprile 2014

Il bello della vita secondo me (5)

Sotto il palco, urlare a squarciagola:
"Quante cose che non sai di me
Quante cose che non puoi sapere
Quante cose da portare nel viaggio insieme
Quante cose che non sai di me
Quante cose devi meritare
Quante cose da buttare nel viaggio insieme".
Come a vent’anni. 
Il bello della vita secondo me.


giovedì 17 aprile 2014

Le borse delle donne e altre elucubrazioni


Vorrei fare un esperimento con le mie amiche. Vorrei che a turno ognuna aprisse la propria borsa, la svuotasse e mostrasse alle altre ciò che contiene.
Perché? Semplice. Per scoprire cosa noi donne mettiamo in borsa. E capire così se la borsa ci è necessaria, se semplicemente ci piace, se ci dà sicurezza, se è un’appendice del nostro corpo da cui fatichiamo a separaci, o se è un modo per distinguerci dai maschi.
Al mio turno, aprirei la borsa e tirerei fuori: il portafoglio, le chiavi di casa, quelle della macchina, il cellulare, un lucidalabbra, un pacchetto di gomme da masticare, dei fazzoletti di carta; se avessi le mestruazioni, due assorbenti; il mio taccuino delle idee, e infine gli occhiali da vista nel caso perdessi le lenti a contatto. Troppo? Poco? Non lo so. So però che, se non fosse per gli assorbenti e il lucidalabbra, la mia borsa contiene cose di cui anche un uomo potrebbe aver bisogno. E allora mi domando: perché l’uomo non usa la borsa e la donna sì? e, soprattutto, dove l’uomo mette le proprie cose? Nello zaino? No, a meno che non abbia tra i sedici e i vent’anni. Nel marsupio? No, a meno che non abbia più di ottant’anni. Nel borsello di vero budello? No, a meno che non sia un prete. Nella borsa del lavoro? Okay, ma lavora sempre?

martedì 15 aprile 2014

Con chi essere gentile

Vorrei essere gentile con i miei figli quando alla mattina si blindano nel bagno. Vorrei essere gentile con mio marito quando è stanco e io no, con mia madre quando ha voglia di chiacchierare e io no, con l’impiegato del call center che mi frantuma le scatole ma è il suo lavoro, con la vicina di casa, che è vecchia, antipatica, volgare, e si dimentica di mettere la dentiera. Vorrei essere gentile con chi non mi dà subito ragione, con il mio nipotino quando è monello, con il vigile quando mi sgrida perché vado in contromano in bicicletta. Vorrei essere gentile con mio padre, ma non faccio più in tempo.


lunedì 14 aprile 2014

Il bello della vita secondo me (4)

Fermarmi davanti alla vetrina di una libreria.
Leggere i titoli dei libri.
Uno a uno.
Guardare le copertine.
Una a una.
Sorprendermi al pensiero che avrei fatto le stesse scelte. Che alcuni di quei libri li ho già letti. Che altri vorrei leggerli.
Pensare che in quella libreria forse qualcuno mi conosce.
Forse mi sta guardando al di là del vetro.
Poi, decidere di non entrare. 
Il bello della vita secondo me.


venerdì 11 aprile 2014

La ricerca della felicità

Alcuni pensano che la felicità stia in ciò che non si ha.
E così si distraggono, si perdono.
I più saggi dicono che la si trova nella cura di ciò che si ha.
E così corrono il rischio di apparire banali.
Vorrei imparare a non temere la banalità.
(Mi sa che con questo post sono sulla buona strada!)





giovedì 10 aprile 2014

Il mio augurio per oggi e per domani

Applicazioni magiche (..al bisogno, senza strafare)


Mervicate

Mervicate è il posto in cui vivo. A Mervicate ci sono tante belle cose.


C’è il parco pubblico dove ti siedi con le amiche su una panchina al sole, inizi a chiacchierare e fino a sera non hai la più pallida idea di cosa stiano facendo i tuoi figli. Ogni tanto ti guardi intorno, ne vedi uno con un bastone in mano, e fai finta di niente.
C’è la biblioteca con il suo castello colorato di cartapesta. Ottimo rifugio per grandi e piccini nelle giornate troppo fredde o troppo calde.
Ci sono i panettieri. Uno a ogni angolo, e ognuno più caro di un gioielliere.
Ci sono le Grigne, sullo sfondo. Belle in ogni stagione. E il Resegone, più a destra.
C’è il ponte romano, non romanico, ro-ma-no!.
C’è il mercato del venerdì. E non fa niente se dopo rimane puzza di pesce.
C’è il vigile che parcheggia la macchina sulle strisce pedonali per far prima a prendere la bambina a scuola. Tutti se ne accorgono, nessuno dice niente. E l’indomani lo stesso vigile ti dà la multa perché hai parcheggiato esattamente dove aveva parcheggiato lui.
C’è la piazza progettata da Mario Botta. E a nessuno gliene importa.
C’è il negozio di scarpe più costoso del mondo. Frequentatissimo, anche se le scarpe che vedi in vetrina poi non le vedi ai piedi di nessuno.
Ci sono gli anziani. Che nella piazza passano il tempo a guardar torvo i ragazzini che giocano a pallone.
C’è il bar. Quello nuovo in cui ti siedi e ti sembra di essere a Praga, o in qualsiasi altra capitale europea. Ma poi esci e la merceria all’angolo ti rimette brutalmente i piedi per terra.
Ci sono le chiese. Tre in pochi metri quadrati. Le banche. Che non riesco nemmeno a contare. Le agenzie immobiliari. Che spuntano come funghi. I fruttivendoli. Belli, buoni e bravi.
E, infine, c'è il bidello che prende in braccio le bambine. Anzi no, non c'è più, accidenti.

mercoledì 9 aprile 2014

La scuola è una giungla

Ora di cena.
“Insomma, mamma, non ne possiamo più di A. in classe!”
“Ma, S., non dire così di un tuo compagno. Cosa è successo?”
“Cavolo, mamma, rimane sempre indietro. Oggi è rimasto indietro persino in matematica”.
“E cosa sarà mai!? Può capitare, cara S., e magari domani toccherà a te rimanere indietro. Bisogna avere pazienza ed essere comprensivi”.
“No, mamma, non credo proprio che possa capitare anche a me”.
“Come fai a dirlo?”
“Per un piccolo particolare: A. pretende di scrivere “x” e “=” con il righello!”
“Ah… ho capito”.
La scuola è una giungla.


martedì 8 aprile 2014

Cronaca di un rapporto difficile (parte terza)

Sabato, ore 9.00. Tutti dormono. Mentre bevo il caffè godendomi il silenzio della casa mi decido. Il desiderio di iniziare “Polizia” di Jo Nesbo è troppo forte.
Prendo il Kindle, mi rimetto sotto le coperte, lo accendo e inizio a leggere.
Passano due minuti e arriva lei, la femmina diabolica. Con gli occhi appiccicosi e il pigiamino stropicciato mi becca mentre cerco di girar pagina con il dito. Insisto, mi sto arrabbiando. Sottovoce, per non svegliare l’orso addormentato al mio fianco, S. esclama: “Mamma, quante volte te lo devo dire: IL KINDLE NON È TOUCH, n_o_n_ è_ t_o_u_c_h!” Quindi mi fa vedere il tasto da premere per cambiare pagina, e così continuo a leggere.
Ma non sono convinta.
Non ci siamo.
Mi manca la carta sotto le dita. E poi è troppo leggero, leggerissimo, quasi mi scappa dalle mani. Mi mancano le pagine che girano veramente. La matita che sottolinea le frasi che mi piacciono. E le pagine non sono numerate: mi rendo conto del progredire della lettura in percentuale, e non mi piace (per intenderci: quel figo di Harry Hole entra in scena al 30% del libro… ma forse, se mi impegno e studio un po’, salta fuori che schiacciando un tasto posso aggiungere l’opzione “pagine numerate”…).
Lo abbandono.
Mi lavo, mi vesto e decido di mettermi sul balcone perché la giornata è di quelle che lo meritano. Porto il Kindle con me, e ci riprovo. Sotto il sole, su una sedia di legno, tra il bidone della plastica e quello dell’indifferenziata, inizio a capire che questo strumento ha un senso. Infatti sto benissimo. Cioè così scomoda, sto benissimo. Riesco a leggere benissimo. 
Alla fine ho trascorso tutto il weekend con il mio Kindle e ho capito che la nostra relazione è possibile, ma solo in condizioni - diciamo così - estreme. Il mio Kindle non è un tipo facile. Non è uno che si accontenta di un letto, o di un divano, o di una poltrona. Il mio Kindle è più un tipo da balcone, da rocce della Croazia, da bivacco sul Monte Bianco, da sabbia della Puglia, da sedile dell’economica in aereo, da campeggio. Insomma, il mio Kindle è come me. Non ama la vita comoda.


(the end)

venerdì 4 aprile 2014

4 aprile 1984

"La cosa che si disponeva a fare consisteva nell'incominciare un diario. Ciò non era illegale (nulla era illegale, poiché non c'erano più leggi); ma se comunque fosse stato scoperto, non c'era dubbio che sarebbe stato condannato a morte, o a venticinque anni almeno di lavori forzati. Winston infilò un pennino nella cannuccia e lo succhiò, come s'usa, per facilitare la presa dell'inchiostro. La penna era uno strumento antiquato (...) e lui se n'era procurata una di nascosto e non senza difficoltà, solo perché sentiva che quei bei fogli color crema meritavano che ci si scrivesse sopra con un vero pennino, anziché d'esser grattati con una delle solite matite a inchiostro. Veramente non aveva l'abitudine di scrivere a mano. (...) Di solito dettava ogni cosa al dittografo, un apparecchio che registrava e trascriveva tutto ciò che si diceva in un microfono, e che era assurdo pensar di adoperare nella presente circostanza. Intinse la penna nel calamaio e quindi esitò in istante. Ebbe un tremito fin nelle budella. Segnare la carta sarebbe stato l'atto decisivo. Con certe piccole goffe cifre, scrisse: "4 aprile 1984". (G. Orwell, "1984")





giovedì 3 aprile 2014

È catechismo?

Permesso, grazie, scusa.
Permesso, grazie, scusa.
Permesso, grazie, scusa.
Permesso, grazie, scusa.
Permesso, grazie, scusa.


Libero chi legge

“(…) ringrazio tutti gli autori americani che ho amato e dico anche a voi di ringraziarli, uno a uno. Tutte le volte che fate l’amore con un ragazzo che non è vostro marito o con una ragazza che non è vostra moglie, dite grazie a Ernest Hemingway, a Jack Kerouac, a Gregory Corso. Dite grazie ai miei amici scrittori. E per farlo leggete i loro libri che sostengono la non corruzione, la non paura, la non violenza: che sostengono la libertà.” (F. Pivano, “Libero chi legge”)

Cara Nanda, 
hai ragione. Colgo il tuo invito e la tua provocazione. Dico grazie a Ernest, Jack, Gregory, ma anche a Francis Scott Fitzgerald, Truman Capote, Paul Bowles, Jonathan Franzen, Philip Roth, Bret Easton Ellis e a tutti gli altri perché è leggendo i loro libri che mi sono sentita libera. Libera anche di non fare l’amore con un ragazzo che non è mio marito.


mercoledì 2 aprile 2014

Il dovere/mestiere di scrivere

Questo post è per un bel giovanotto il cui nome inizia con la V.

Premessa: dover scrivere ciò che ti chiedono gli altri non è il massimo, lo so bene. Meglio scrivere ciò che ci pare e come ci pare, come faccio io su questo blog. Ma non sempre è possibile: tu vai a scuola e devi scrivere quello che ti dice la prof e come vuole lei, io scrivo per mestiere e devo saper scrivere tutto in tutti i modi. Porca miseria. Ma sopportiamo, testa bassa e andiamo avanti. Ce la possiamo fare.

Ecco i miei diciannove trascurabili consigli di scrittura:

1. ricordati che più le idee sono chiare, più facile è metterle per iscritto. Non scrivere ciò che non hai capito veramente, ti sgamerebbero subito e saresti fritto.
2. Scrivi in modo semplice. Le frasi lunghe, arzigogolate, zeppe di aggettivi non vanno bene. Concetti chiari, frasi semplici. Non complicarti la vita, semplifica. Leva dalle frasi ciò che non è strettamente necessario. All’inizio ti sembrerà difficile, ma vedrai che prima o poi ti riuscirà e ti verrà addirittura spontaneo.
3. Poniti tre domande: come inizio? come proseguo? come concludo? e cerca di avere in testa le risposte prima di iniziare a scrivere.
4. Butta giù tutto di getto, poi sistemi. Non perderti sulla prima frase, vai avanti e poi rivedi. Non fermarti. Scrivi. Dopo controlli. Io scrivo così, fai una prova e vedi se questo consiglio di scrittura si adatta anche a te e al tuo modo di scrivere.
5. Cerca un inizio originale, così sorprendi chi ti legge e parti con il piede giusto.
6. Non ripeterti. Anche se il tema ti dovesse sembrare troppo corto, non è che cambi le cose ripetendo lo stesso concetto in continuazione. Non metterti su questa strada perché i prof non la sopportano, si sentono presi in giro. E hanno ragione.
7. Crea continuità e omogeneità tra le parti del tema. Usa: inoltre, quindi, per cui ecc per legare le frasi e le parti del tuo testo tra loro.
8. Tieni duro fino alla fine, non affrettare la conclusione anche se sei stanco.
9. Rileggi sempre con la massima attenzione ciò che hai scritto. Durante la stesura del tema fai in modo che ti rimanga sempre del tempo sufficiente per farlo, soprattutto nel caso tu decida di seguire il consiglio 4.
10. Stai attento ai tempi e ai modi dei verbi.
11. Stai attento che il soggetto delle frasi sia sempre chiaro. Lascia il soggetto sottinteso solo se sei veramente sicuro che chi ti legge capisca immediatamente chi compie l’azione nella frase. Non c’è niente di più antipatico di leggere e non capire.
12. Evita i puntini di sospensione.
13. Limita i punti esclamativi.
14. Usa il gerundio solo se veramente necessario.
15. Usa tutta la punteggiatura che hai a disposizione. Quando diventerai un poeta o uno scrittore famoso potrai fare ciò che vorrai, anche scrivere senza punteggiatura fregandotene del fatto che nessuno ti capisca. Adesso non lo puoi fare perché vai a scuola e ti conviene rispettare le regole, o recitare la parte di chi le rispetta. Se ti viene voglia di trasgredire, non farlo nei compiti in classe o nei temi, ma prenditi un taccuino – o creati un documento di word o apriti un blog ;) - e scrivici tutto ciò che vuoi, come vuoi, quando vuoi. Potrebbe rivelarsi un buon esercizio.
16. Leggi più che puoi, possibilmente scrittori di madre lingua italiana. Guarda come fanno loro, come scrivono loro. Ti assicuro che si impara un sacco.
17. Non essere pigro. La pigrizia è un difettaccio da combattere. Essere pigri non premia mai.
18. Non essere frettoloso.
19. Scrivi in un modo che ti piacerebbe leggere.

In bocca al lupo. Crepi il lupo.