giovedì 31 marzo 2016

fare/rifare

“Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io vuol dire che lo sa rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima” (B. Munari)



mercoledì 30 marzo 2016

Non vi capita mai?

Quando accompagno i miei figli a scuola mi capita di incrociare gli occhi di alcune bambine.
Mi accorgo di vederci le donne che diventeranno e persino i mariti che sposeranno.

Non vi capita mai?



domenica 27 marzo 2016

Pulcini pasquali

A Pasqua ad Atene c’era l’usanza di regalare ai bambini pulcini vivi, spesso colorati d’azzurro o di rosa.
Un anno mio padre tornò a casa con due pulcini, uno per me e uno per mia sorella. Li ricordo gialli, non colorati, ma magari mi sbaglio. Non penso li avesse comprati per noi, probabilmente un collega del posto glieli aveva regalati in occasione della Pasqua. Noi eravamo felicissime, ovviamente. Quale bambino non sarebbe felicissimo con un pulcino giallo, morbido, tenero e soprattutto vivo tra le mani?!
Li mettemmo in uno scatolone di cartone nel locale che usavamo come lavanderia, una stanza sopra il nostro appartamento da cui si poteva accedere al terrazzo con vista sul Pentagono.
Dopo qualche giorno i pulcini iniziarono a puzzare e a non mangiare niente. Io e mia sorella portavamo su il cibo che ci sembrava più adatto, ma loro niente, non mangiavano niente. Ci misero poco a morire. Allora mio padre prese i pulcini morti e li scaraventò giù dal terrazzo, così senza battere ciglio. Doveva aver pensato che buttarli nello scarico del gabinetto fosse poco opportuno, temeva forse un ingorgo. Ricordo che in quella occasione i miei genitori litigarono. Mia madre disse che i cadaveri dei pulcini non potevano stare giù nel giardino condominiale a marcire e allora mio padre scese e li recuperò. Chissà che fine fecero i nostri pulcini morti... Forse mia madre li prese e li gettò in spazzatura. Ricordo che non piansi.


venerdì 25 marzo 2016

Venerdì Santo

Quando ero giovane, ogni Venerdì Santo ci ponevamo la stessa domanda.
Dopo cena, ci ritrovavamo tutti al solito bar. Scambiavamo due chiacchiere (come va? quell’esame l’hai poi dato? stasera esce A? perché il tuo ragazzo non c’è mai? a pasquetta ci facciamo un giro al lago? hai visto chi c’è seduto laggiù?) prendevamo una birra e poi, verso mezzanotte, ci guardavamo e sottovoce ci domandavamo: “cosa facciamo, andiamo a ballare?”. Qualcuno esclamava sorpreso e risentito “a bal-la-reeee???? ma è Venerdì Santo!”. Allora la compagnia si divideva. Inevitabile. Alcuni rimanevano al bar a non dirsi niente, pochi tornavano a casa a dormire o forse a pregare, gli altri andavano a ballare. Io ero tra quelli che andavano a ballare. A ballare di Venerdì Santo.


giovedì 24 marzo 2016

Il caso urgente

“Vivo da solo, non c’è nessuno di cui io sia responsabile, a cui debba rispondere di quello che faccio o con cui debba passare il tempo. Decido io i miei orari. Di solito scrivo tutto il giorno, ma se voglio tornare nel mio studio la sera, dopo cena, posso farlo: non sono costretto a star seduto in salotto perché qualcun altro ha passato la giornata da solo. Non devo star seduto a far conversazione cercando di essere brillante. Se mi sveglio alle due di notte e mi viene in mente un’idea, accendo la luce e scrivo in camera da letto. Lavoro, sono sempre reperibile. Sono come un medico di un reparto d’urgenza. E sono anche il caso urgente” (Philip Roth, «The New Yorker», 8 maggio 2000)

(opera di Ed Templeton)

martedì 22 marzo 2016

Il bello della vita secondo me (51)

Una bimba gioca al sole, tranquilla e silenziosa. Prepara la pappa ai suoi orsetti del cuore: pezzetti di legno, petali di margherita, sassolini, foglioline, tutto in un piattino. Precisa e ordinata. Improvvisamente alza gli occhi, guarda la sua baby-sitter e intona: “la vita dura è una gran fregatura, oh oh oh oh, a chi va bene, a me va male…"
Il bello della vita secondo me.



domenica 20 marzo 2016

Pensiero della sera

Vorrei vivere ogni giorno come se fosse sempre domenica, senza niente da perdere.

(opera di Sean Yoro)


sabato 19 marzo 2016

Anne

"Naturalmente a una ragazza come lei, così pazza per i libri e la letteratura, alla fine doveva venire il sospetto che, per quel che ne sapeva, stava scrivendo un libro. Ma per la maggior parte del tempo era al proprio morale che pensava, e non, a quattordici anni, alle proprie ambizioni letterarie. Quanto all'essere diventata una scrittrice, non lo doveva alla decisione di mettersi ogni giorno a tavolino per cercare di diventarlo, ma alla vita soffocante che facevano. Era questo, chi l'avrebbe mai detto, che aveva nutrito il suo talento! Veramente: senza il terrore e la claustrofobia dell' achterhuis, da quella chiacchierona che era sempre stata, circondata da amici e pronta a farsi quattro risate, se fosse stata libera di andare e venire, libera di scherzare, libera d'inseguire tutte le proprie speranze, avrebbe mai scritto delle frasi così belle, così eloquenti e così spiritose? Ecco, pensava, forse questo è il problema del mio corso: non la mancanza di un grosso argomento, ma la presenza del lago, del campo da tennis e di Tanglewood. La perfetta abbronzatura, le gonne di lino, la reputazione che mi sto facendo di Pallade Atena dell' Athene College: forse è questo che mi sta rovinando. Forse, se fossi ancora chiusa in una stanza, chissà dove, nutrita di patate marce, vestita di stracci e pazza di terrore, forse allora riuscirei a scrivere un racconto decente per il signor Lonoff!" (Philip Roth, "Lo scrittore fantasna")

(illustrazione di Franco Matticchio)

giovedì 17 marzo 2016

Peggy

Lunedì ho visto il docufilm di Lisa Immordino Vreeland “Peggy Guggenheim – Art addict”.


Peggy Guggenheim visse una vita irripetibile lunga ottantuno anni (1898-1979).

Rimase presto orfana dell'adorato padre, morto affogato in smoking dopo aver ceduto galantemente il proprio salvagente e il proprio posto sulla scialuppa di salvataggio durante il naufragio del Titanic.
Sua madre non la degnava di molta attenzione.
Ereditò una fortuna.
Non studiò.
Viaggiò.
Era brutta narcisista anticonvenzionale intelligente seducente.
Si affezionò a molti cani.
Ebbe fiuto per gli affari e per il talento degli altri.
Man Ray la fotografò divina.


Sposò un artista dadaista squattrinato e violento, Laurence Vail.


S’innamorò follemente di uno scrittore inglese schiavo dell’alcol che morì giovane.
Tra amante e figlio scelse l’amante e così il figlio Sinbad diventò grande lontano da lei.
Ebbe una sorella che, per non lasciare i propri figli al marito, li ammazzò buttandoli giù da un palazzo.
Sopravvisse a guerra, nazismo e Olocausto.
Collezionò quadri e sculture.
Fu mecenate/amica/amante di tutti i geni dell’arte e della letteratura del Novecento (Kandinsky, Duchamp, Brancusi, Beckett, Cocteau, Magritte, Mondrian, Breton e via così).
Sposò mai amata Max Ernst, bello, impossibile e ingrato.


Volle rifarsi il naso, ma a metà operazione si alzò e se ne andò perché le faceva troppo male.
Fu madre inquieta di Peegen, figlia pittrice difficile e talentuosa morta troppo giovane per una overdose di farmaci.



Abortì sette volte.  
Aprì una galleria a Londra, la “Guggenheim Jeune”.
Aprì una galleria a New York, la “Art of this Century”.
Scoprì Jackson Pollock.


Rimase indifferente a Andy Warhol.
Comprò Palazzo Venier dei Leoni a Venezia e lo trasformò nella sua casa/museo.
A Venezia, sul Canal Grande, riposa (forse) in pace con se stessa e coi suoi cani.


martedì 15 marzo 2016

Il bello della vita secondo me (50)

Mentre mi riposo a bordo pista, noto cinque signore vestite di nero sciare una dietro l’altra eleganti, sicure, veloci, serie. Stanno facendo una lezione di sci perché seguono diligenti il maestro che è molto molto giovane. 
A un certo punto si fermano, il maestro più a valle, loro più a monte. Poi le signore tutte nere scendono a una a una in direzione del maestro. Lui le osserva e a ognuna dice qualcosa. Ognuna annuisce. Una di loro ripete da ferma un movimento. Due di loro ridacchiano e mi domando perché. Quindi tutte riprendono a sciare in fila dietro al maestro. Eleganti, sicure, veloci, serie. Decido di seguirle.
Il bello della vita secondo me.


lunedì 14 marzo 2016

venerdì 11 marzo 2016

Leggere Lolita a Teheran

avrei voluto pubblicare questo post l'otto marzo, ma non ce l'ho fatta, ero a sciare, amen

Quando quasi quindici anni fa uscì nelle librerie italiane, regalai "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi a un’amica. Lo feci senza esitazione, anche se la copertina non mi attirava e il titolo ben che meno (perché per me “Leggere Lolita a Teheran” non è un bel titolo, non si capisce cosa sottintenda). Me lo ricordo bene perché fu una delle rare volte in cui donai un libro senza averlo letto prima. L’avevo scelto perché convinta che fosse perfetto per la mia amica, non per me. Lei, per intenderci, è una che ama Jane Austen, mentre io no, mi annoia, e sapevo che alcune pagine di “Leggere Lolita a Teheran” erano dedicate proprio alla scrittrice inglese.
Non so se la mia amica abbia mai letto il libro che le ho regalato, glielo chiederò quando la incontrerò. Così ne potremo parlare visto che qualche settimana fa mi sono decisa e l’ho letto.


Ho letto “Leggere Lolita a Teheran” per due motivi: primo per conoscere meglio la scrittrice dopo che la cate mi ha invitato a leggere alcuni suoi articoli sull’importanza dello studio della letteratura – e soprattutto dei classici - per (ri)conoscere se stessi, gli altri e il mondo (bello o brutto che sia) in cui viviamo e riuscire a salvarci dall’ignoranza (inviandomi via WhatsApp i link a questi articoli la cate vorrebbe convincermi che il liceo classico continua a essere una scuola attuale e che devo smetterla di preoccuparmi all’idea che i miei figli possano tra qualche anno decidere di volerlo frequentare seguendo le orme di mamma e papà…); secondo perché sono incuriosita da quello che in questi giorni sta succedendo in Iran, e cioè le elezioni, il nucleare, l’embargo, il fondamentalismo religioso ecc ecc. e l’unica cosa che finora ho letto (con gusto) su questo paese così affascinante sono i fumetti “Persepolis” di Marjane Satrapi, troppo poco.

Teheran, anni Ottanta, l’ayatollah Khomeini è il supremo leader religioso della Repubblica islamica dell’Iran. Azar Nafisi fa la prof all’università e ci racconta la sua quotidiana battaglia di donna e di studiosa contro il fanatismo, la follia, la violenza, il moralismo, l’oscurantismo, la censura e chi più ne ha più ne metta del sistema politico e sociale in cui vive.
La scrittrice tiene duro, continua convinta a spiegare la “sua” letteratura durante le lezioni all’università, ma a un certo punto viene espulsa. Decide allora molto coraggiosamente di riunire le sue sette studentesse più promettenti ogni giovedì a casa sua e tenere un seminario clandestino per leggere ad alta voce e analizzare i romanzi proibiti della “decadente e satanica” cultura occidentale (quelli di Nabokov, Henry James, Jane Austen, Fitzgerald per intenderci), ma anche per scambiarsi opinioni e confidenze tra donne.
Dopo i terribili anni della guerra tra Iran e Iraq, la Nafisi deciderà non senza tormento di lasciare le sue ragazze, di trasferirsi con la famiglia in America, e di proseguire lì la sua vita e la sua carriera universitaria.

Leggere “Leggere Lolita a Teheran” è stato piacevole, anche se a volte il romanzo tende a essere un po’ troppo “femminile” per i miei gusti.
Le pagine più belle e importanti di “Leggere Lolita a Teheran” sono per me quelle dedicate agli scrittori occidentali, soprattutto l’analisi che la Nafisi fa del romanzo “Lolita” mi ha colpito e sorpreso per la sua puntualità e profondità (“La verità disperata che si cela dietro la storia di Lolita non è lo stupro di una ragazzina da parte di un vecchio sporcaccione, ma la confisca della vita di un individuo da parte di un altro”).
Le pagine più interessanti sono per me quelle dedicate al racconto della condizione delle donne nell’Iran di Khomeini, un vero e proprio documento (“Fin dall’inizio della rivoluzione c’erano stati diversi tentativi di imporre il velo, sempre falliti per via della strenua e combattiva opposizione delle donne iraniane. Per il regime il velo aveva assunto, sotto molti aspetti, un valore simbolico: la sua reintroduzione coatta avrebbe decretato la vittoria definitiva della componente islamica, cosa che in quei primi anni non era certo scontata. L’abolizione del velo proclamata dallo scià Reza nel 1936, e molto discussa, aveva voluto essere un segnale di modernizzazione, e la conferma di una perdita di potere da parte del clero. Dunque, era importante riaffermare quel potere. Sono cose chiare adesso, ma allora lo erano molto meno”).
Le pagine più commoventi, e concludo, sono per me le ultime, quando la scrittrice racconta che fine hanno fatto le sue ragazze. Leggendole mi è venuto da piangere, ma in questi giorni ho nervi fragili e lacrima facile (“Per vivere una vita vera, completa, bisogna avere la possibilità di dar forma ed espressione ai propri mondi privati, ai propri sogni, pensieri e desideri; bisogna che il tuo mondo privato possa sempre comunicare col mondo di tutti”).

mercoledì 9 marzo 2016

The end (21)

Il giorno in cui dividerò i vestiti in “quelli per stare in casa” e “quelli per uscire” sarà la fine.


lunedì 7 marzo 2016

Venti cose che ho capito di me

Ho capito di me che:
1. mi piace stare sola e mi fa bene
2. devo stare attenta con l’alcol
3. anche se lo nascondo bene, sotto sotto sono pigra
4. anche se fremo, o proprio perché fremo, so aspettare
5. faccio del male quando esprimo pensieri che potrei non esprimere
6. so tenere un segreto
7. perdono facilmente
8. mi fido di tutti
9. non provo pena per nessuno
10. ho pochissima compassione
11. riesco a vedermi con gli occhi degli altri e quasi sempre non mi piaccio
12. se un romanzo inizia con una frase lunga, non vado avanti a leggerlo
13. temo il giudizio degli altri, ma lo cerco sempre
14. non mi interessano le amicizie maschili
15. tra tutte le religioni il cattolicesimo è quella che più mi irrita
16. non sopporto che mi si dica che ho pregiudizi sulla religione cattolica e sui cattolici
17. gli animali diversi dall’uomo m’incuriosiscono pochissimo
18. sono meteoropatica
19. mi piace raccogliere fiori, tagliargli un po' di gambo e riporli in bicchierini di vetro
20. quasi ogni giorno commetto una piccolissima crudeltà