avrei voluto pubblicare questo post l'otto marzo, ma non ce l'ho fatta, ero a sciare, amen
Quando quasi quindici anni fa uscì nelle librerie italiane, regalai "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi a un’amica. Lo feci senza esitazione, anche se la copertina non mi attirava e il titolo ben che meno (perché per me “Leggere Lolita a Teheran” non è un bel titolo, non si capisce cosa sottintenda). Me lo ricordo bene perché fu una delle rare volte in cui donai un libro senza averlo letto prima. L’avevo scelto perché convinta che fosse perfetto per la mia amica, non per me. Lei, per intenderci, è una che ama Jane Austen, mentre io no, mi annoia, e sapevo che alcune pagine di “Leggere Lolita a Teheran” erano dedicate proprio alla scrittrice inglese.
Quando quasi quindici anni fa uscì nelle librerie italiane, regalai "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi a un’amica. Lo feci senza esitazione, anche se la copertina non mi attirava e il titolo ben che meno (perché per me “Leggere Lolita a Teheran” non è un bel titolo, non si capisce cosa sottintenda). Me lo ricordo bene perché fu una delle rare volte in cui donai un libro senza averlo letto prima. L’avevo scelto perché convinta che fosse perfetto per la mia amica, non per me. Lei, per intenderci, è una che ama Jane Austen, mentre io no, mi annoia, e sapevo che alcune pagine di “Leggere Lolita a Teheran” erano dedicate proprio alla scrittrice inglese.
Non so se la mia amica abbia mai letto il libro che le ho regalato, glielo chiederò
quando la incontrerò. Così ne potremo parlare visto che qualche settimana fa mi
sono decisa e l’ho letto.
Ho letto “Leggere Lolita a Teheran” per due motivi: primo per conoscere meglio la scrittrice dopo che la cate mi ha invitato a leggere alcuni suoi articoli sull’importanza dello studio della letteratura – e soprattutto dei
classici - per (ri)conoscere se stessi, gli altri e il mondo (bello o brutto
che sia) in cui viviamo e riuscire a salvarci dall’ignoranza (inviandomi via WhatsApp i link a questi
articoli la cate vorrebbe convincermi che il liceo classico continua a essere
una scuola attuale e che devo smetterla di preoccuparmi all’idea che i miei
figli possano tra qualche anno decidere di volerlo frequentare seguendo le orme di
mamma e papà…); secondo perché sono incuriosita da quello che in questi giorni sta
succedendo in Iran, e cioè le elezioni, il nucleare, l’embargo, il
fondamentalismo religioso ecc ecc. e l’unica cosa che finora ho letto (con
gusto) su questo paese così affascinante sono i fumetti “Persepolis” di Marjane
Satrapi, troppo poco.
Teheran, anni Ottanta, l’ayatollah Khomeini è il supremo
leader religioso della Repubblica islamica dell’Iran. Azar Nafisi fa la prof
all’università e ci racconta la sua quotidiana battaglia di donna e di studiosa
contro il fanatismo, la follia, la violenza, il moralismo, l’oscurantismo,
la censura e chi più ne ha più ne metta del sistema politico e sociale in cui
vive.
La scrittrice tiene duro, continua convinta a spiegare la “sua”
letteratura durante le lezioni all’università, ma a un certo punto viene espulsa.
Decide allora molto coraggiosamente di riunire le sue sette studentesse più
promettenti ogni giovedì a casa sua e tenere un seminario clandestino per
leggere ad alta voce e analizzare i romanzi proibiti della “decadente e
satanica” cultura occidentale (quelli di Nabokov, Henry James, Jane Austen,
Fitzgerald per intenderci), ma anche per scambiarsi opinioni e confidenze tra
donne.
Dopo i terribili anni della guerra tra Iran e Iraq, la
Nafisi deciderà non senza tormento di lasciare le sue ragazze, di trasferirsi
con la famiglia in America, e di proseguire lì la sua vita e la sua carriera
universitaria.
Le pagine più belle e importanti di “Leggere Lolita a
Teheran” sono per me quelle dedicate agli scrittori occidentali, soprattutto l’analisi
che la Nafisi fa del romanzo “Lolita” mi ha colpito e sorpreso per la sua
puntualità e profondità (“La verità
disperata che si cela dietro la storia di Lolita non è lo stupro di una
ragazzina da parte di un vecchio sporcaccione, ma la confisca della vita di un
individuo da parte di un altro”).
Le pagine più interessanti sono per me quelle dedicate al racconto
della condizione delle donne nell’Iran di Khomeini, un vero e proprio documento
(“Fin dall’inizio della rivoluzione
c’erano stati diversi tentativi di imporre il velo, sempre falliti per via
della strenua e combattiva opposizione delle donne iraniane. Per il regime il
velo aveva assunto, sotto molti aspetti, un valore simbolico: la sua
reintroduzione coatta avrebbe decretato la vittoria definitiva della componente
islamica, cosa che in quei primi anni non era certo scontata. L’abolizione del
velo proclamata dallo scià Reza nel 1936, e molto discussa, aveva voluto essere
un segnale di modernizzazione, e la conferma di una perdita di potere da parte
del clero. Dunque, era importante riaffermare quel potere. Sono cose chiare
adesso, ma allora lo erano molto meno”).
Le pagine più commoventi, e concludo, sono per me le ultime, quando la
scrittrice racconta che fine hanno fatto le sue ragazze. Leggendole mi è venuto da piangere, ma in questi giorni ho nervi fragili e lacrima facile (“Per vivere una vita vera, completa, bisogna
avere la possibilità di dar forma ed espressione ai propri mondi privati, ai
propri sogni, pensieri e desideri; bisogna che il tuo mondo privato possa
sempre comunicare col mondo di tutti”).
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