Lunedì ho visto il docufilm di Lisa
Immordino Vreeland “Peggy Guggenheim – Art addict”.
Peggy Guggenheim visse una vita irripetibile lunga ottantuno anni (1898-1979).
Rimase presto orfana dell'adorato padre, morto affogato in smoking
dopo aver ceduto galantemente il proprio salvagente e il proprio posto sulla
scialuppa di salvataggio durante il naufragio del Titanic.
Sua madre non la degnava di molta attenzione.
Ereditò una fortuna.
Non studiò.
Viaggiò.
Era brutta narcisista anticonvenzionale intelligente seducente.
Si affezionò a molti cani.
Ebbe fiuto per gli affari e per il talento degli altri.
Man Ray la fotografò divina.
Sposò un artista dadaista squattrinato e violento, Laurence
Vail.
S’innamorò follemente di uno scrittore inglese schiavo dell’alcol che morì giovane.
Tra amante e figlio scelse l’amante e così il figlio Sinbad diventò grande lontano da lei.
Ebbe una sorella che, per non lasciare i propri figli al
marito, li ammazzò buttandoli giù da un palazzo.
Sopravvisse a guerra, nazismo e Olocausto.
Collezionò quadri e sculture.
Fu mecenate/amica/amante di tutti i geni dell’arte e della
letteratura del Novecento (Kandinsky, Duchamp, Brancusi, Beckett, Cocteau, Magritte,
Mondrian, Breton e via così).
Sposò mai amata Max Ernst, bello, impossibile e ingrato.
Volle rifarsi il naso, ma a metà operazione si alzò e se ne
andò perché le faceva troppo male.
Fu madre inquieta di Peegen, figlia pittrice difficile e
talentuosa morta troppo giovane per una overdose di farmaci.
Abortì sette volte.
Aprì una galleria a Londra, la “Guggenheim Jeune”.
Aprì una galleria
a New York, la “Art of this Century”.
Scoprì Jackson Pollock.
Rimase indifferente a Andy Warhol.
Comprò Palazzo Venier dei Leoni a Venezia e lo trasformò nella sua casa/museo.
A Venezia, sul Canal Grande, riposa (forse) in pace con se stessa e coi suoi cani.
una di quelle vite che mi fanno molto pensare, nel bene e nel male
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