martedì 29 dicembre 2015

L’indomani

La trovò che dormiva rannicchiata in quello che era stato il loro letto. La osservò per diversi lunghi minuti, prima da lontano, poi da vicino, infine da vicinissimo. Era andata a letto senza struccarsi e senza pettinarsi, come al solito. Sollevò piano la coperta. Non si era cambiata, sicuramente non si era lavata. La ricoprì delicatamente. Poi, attento a non fare rumore, chiuse la porta e se ne andò sul divano. 
L’indomani si svegliò solo. Dopo essersi lavato i denti, chiamò sua madre.


lunedì 28 dicembre 2015

La sabbia non ricorda

E pensare che l’ho tirato su per caso. Non lo cercavo, cercavo “Il buio oltre la siepe”, invano. Poi me lo sono trovato davanti agli occhi, sul carrello dei libri restituiti che il bibliotecario avrebbe risistemato in ordine, sugli scaffali delle biblioteca della città in cui vivo.
A catturare la mia attenzione sono state le solite cose che di un libro catturano la mia attenzione. Primo: la copertina (un disegno di Franco Matticchio con una ragazza bionda che osserva il corpo senza vita di un uomo riverso su una spiaggia). Secondo: il titolo (“La sabbia non ricorda”). Terzo: l’autore, Giorgio Scerbanenco, uno scrittore che ho scoperto da poco e che ha vissuto una vita che sembra un romanzo (è nato in Russia, è rimasto orfano precocemente, si è rifugiato in Italia, non ha finito le elementari, ha fatto mille lavori prima di entrare nell’editoria, ha scritto tantissimo e si è cimentato in diversi generi, siccome antifascista è scappato in modo avventuroso in Svizzera attraverso le montagne, dopo la guerra ha collaborato con la polizia milanese diventando una specie di investigatore privato, eccetera eccetera).
“La sabbia non ricorda” è un libro che ho letto lentamente per goderlo a lungo, perché è un bel libro. È bello innanzitutto per la scrittura, bella, rigorosa, essenziale, curata, sicura. E, a questo proposito, mi piacerebbe sapere se Scerbanenco scriveva lentamente o velocemente, se scriveva subito bene o doveva correggersi e ricorreggersi prima di essere contento. Poi è bello per il genere, un giallo (Giannuzzo Masetta, giovane playboy siciliano, viene trovato morto con la gola tagliata sulla spiaggia di Lignano e in tanti avrebbero avuto un motivo per ammazzarlo: Roberto perché subiva i suoi ricatti dal momento che gli aveva sedotto e abbandonato la sorella, Ingrid perché ne era attratta e lui ne approfittava spillandole quattrini, malavitosi di diverso tipo. Alberto Missaglia deve quindi investigare, e così si ritrova a stretto contatto con una sua ex fiamma, Michela, figlia di un pezzo grosso del Ministero degli Interni e reduce da una brutta delusione amorosa che l’ha portata alla depressione. Alberto, standole vicino, si rende conto che i suoi sentimenti sono ancora vivi, ma lei nel frattempo bla bla bla ) ma anche una storia di amore, o meglio di amori (tra padre e figlia, tra padre e figlio, tra colleghi, tra uomini e donne, tra giovani turiste straniere e focosi bellimbusti locali).
“La sabbia non ricorda” è bello per gli anni che Scerbanenco racconta che sono gli anni Sessanta che mi mettono sempre un po’ di nostalgia perché mi fanno pensare ai miei genitori giovani. È bello perché la storia si svolge vicino al mare e in estate, e il mare, il caldo, l’acqua sono presenze molto ben descritte da Scerbanenco che conosceva quei luoghi perché aveva deciso di viverci. E, infine, è bello per i personaggi che sono inquieti, moderni, nervosi, spesso in crisi, proprio come piacciono a me.


domenica 27 dicembre 2015

Nausea

Trascorse le giornate di Natale e di Santo Stefano in equilibrio precario. La nausea ebbe inizio la mattina del venticinque e terminò alle prime ore del ventisette. Quarantotto ore esatte di mal di stomaco. Eppure non aveva toccato l’insalata russa.


martedì 22 dicembre 2015

Domande

Le domande sono
inutili
legittime
crudeli
inopportune
imbarazzanti
poco chiare
intelligenti
innocenti
pertinenti
impertinenti
lecite
interessanti
ingenue
frettolose
sfrontate
retoriche
assurde
puntigliose
senza risposta
ovvie
domande.


lunedì 21 dicembre 2015

Quella notte…

Quella notte la signorina Emme non riusciva a dormire. Verso le due si alzò e andò sul balcone. Voleva prendere una boccata d’aria, e volentieri si sarebbe fumata una sigaretta. Erano anni che non si fumava una sigaretta. Fuori però c’era troppa luna. Allora rientrò.




venerdì 18 dicembre 2015

Non riusciva più a starci insieme

Non riusciva più a starci insieme, né a sentirla. Non ci stava più insieme, infatti. E non la sentiva più. Come avrebbe potuto stare con una persona alla quale fino a qualche giorno prima aveva detto tanto, e non dirle più nulla?


giovedì 17 dicembre 2015

Non ho tempo (?)

Non ho tempo.
Non ho tempo di leggere le ultime pagine del mio libro e iniziarne uno nuovo
di scrivere sul blog 
di pulire la casa
di tagliarmi le unghie
di mettermi lo smalto sulle unghie
di andare a correre
di togliermi i peli di troppo
di ritirare e piegare il bucato steso
di preoccuparmi del meteo
di fare il pisolino dopo pranzo
di portare fuori la spazzatura
di ascoltare i miei figli
di pulire le scale       
di curare mio marito
di andare dal parrucchiere
di telefonare per prendere l’appuntamento per la prossima mammografia.
Non ho tempo.
Non ho tempo!?
Perdo tempo.
Spreco tempo.
Impiego male il tempo.
Non voglio avere tempo.
Non posso credere di non avere tempo.
M’illudo di non avere tempo.
Ho fastidio di chi dice di non avere tempo.
Ma non ho tempo, non c’è tempo.


giovedì 10 dicembre 2015

C'era stato un tempo

"C'era stato un tempo, e non secoli prima, che lei non aveva paura di niente, né della luce, né del buio, né dei grandi spazi vuoti. Partecipava alle gare di tennis o di ping pong sulla spiaggia, ballava fino alle due del mattino, finché i cavalieri, appesantiti anche dall'alcol, si rifiutavano recisamente anche per il ballo più riposante. Era il tempo in cui, quando era sotto gli esami, stava a tavolino anche dieci ore di seguito, e senza caffè, senza simpamine, tenuta rovente sui libri dal suo rovente entusiasmo per tutto, dalla sua sicurezza che tutto era bello e tutto si poteva ottenere.
Erano gli anni in cui si vedeva con Al quasi tutti i giorni, sia in città che durante le vacanze. Poi, quasi all'improvviso, si era staccata da lui. Era arrivato Aligi." (Giorgio Scerbanenco, "La sabbia non ricorda")

(foto di Nina Leen)

mercoledì 9 dicembre 2015

In spazzatura

Quando si sentiva giù di corda, la signorina Emme andava in cucina, afferrava veloce l’oggetto di turno, quello che da mesi occupava lo scaffale e che da mesi avrebbe dovuto aggiustare perché convinta di tenerci e che ne valesse la pena, e lo buttava veloce in spazzatura. Poi si sentiva meglio, e non ci pensava più, né al motivo per cui si sentiva giù di corda né all’oggetto finito in spazzatura. E se i suoi famigliari la coglievano sul fatto e la osservavano sorpresi mentre usciva veloce sul balcone e poi veloce rientrava in cucina chiudendosi la porta alle spalle, lei faceva finta di niente. Sicuramente non avrebbe spiegato nulla. Sicuramente non avrebbe detto nulla. Perché la signorina Emme non parlava da anni, e non era muta.


martedì 8 dicembre 2015

Il racconto dei racconti

C, dopo averlo guardato senza proferir verbo per poco più di due ore, si è alzato dal divano e sulla soglia del bagno l’ha bollato come “uno dei film più brutti che abbia mai visto nella mia vita”. Invece a me è piaciuto. Guardarlo è stato come immergermi in una vasca piena di appiccicosa e densa tempera a olio di diversi colori, con prevalenza del rosso, una strana esperienza molto fisica e poco spirituale. Parlo de “Il racconto dei racconti”, il film di Matteo Garrone tratto dalla secentesca raccolta di fiabe di Giambattista Basile intitolata “Lo cunto de li cunti”.
Un film forte, duro, complesso, ambizioso e coraggioso che porta sullo schermo tre storie intrecciate tra loro (“La cerva”, “La vecchia scorticata” e “La pulce”) che raccontano fondamentalmente quattro temi che non passeranno mai di moda: l’ossessione tutta umana per il controllo e il possesso di cose e persone; il continuo e ripetuto ricorrere dell’uomo all’inganno per ottenere ciò che pensa di volere; l’incapacità tutta umana di accettare la morte, la mancata maternità, la vecchiaia e la solitudine; la violenza e la crudeltà a cui si può arrivare per amore.
Nel primo racconto una regina triste e scura (Salma Hayek) pur di diventare madre si affida alla magia così, senza preoccuparsi troppo del sacrificio del re suo marito che per lei uccide un terribile drago marino e poi muore, si mangia il cuore del mostro e rimane incinta.
Nel secondo episodio una vecchia pur di tornare giovane e piacere al re (Vincent Cassel) si fa spellare viva.
Nel terzo un padre pur di non lasciar andare la propria figlia che non ce la fa più a vivere tra le anguste pareti del castello a suonare la chitarra e a recitare poesie, bandisce un assurdo torneo tra i giovani del regno, convinto che nessuno sarà in grado di vincere e quindi di conquistare la mano della figlia, e invece la poveretta se ne andrà sulle spalle di un orco schifoso e violento.
“Il racconto dei racconti” è un film potente, crudo e crudele, carnale, ambientato tra i paesaggi (come le Gole dell’Alcantara in Sicilia e Castel del Monte in Puglia) di un’Italia non da cartolina che incanta. Da vedere. Voto: 8.


lunedì 7 dicembre 2015

Qualcosa dentro di me muore

“Ogni volta che un amico ha successo, qualcosa dentro di me muore” (Gore Vidal)


giovedì 3 dicembre 2015

mercoledì 2 dicembre 2015

martedì 1 dicembre 2015

Umani vs Food

Ogni giorno mi chiedo cosa e come devo mangiare.

Se la carne rossa è cancerogena, 
se devo seguire la stagionalità, 
se è bene essere vegetariani, 
se devo seguire la dieta dei gruppi sanguigni di Mozzi, 
se il glutine è il nuovo nemico, 
se ormai dire "di tutto un po' " non vale più un cazzo, 
se devo demonizzare i formaggi e il latte, 
se non amo nessun processed food nè tutto ciò che è allevato/coltivato in maniera intensiva, 
se non va bene che si usino le farine raffinate, 
se devo mangiare a Km 0, 
se lo zucchero nutre le cellule malate, 
se essere vegani è essere alieni,
se il sale è 'ostile' al nostro sistema cardiovascolare, 
se devo stare attenta che non ci siano grassi idrogenati, 
se devo temere burro e olio di palma, 
se vanno bene quinoa e avocado, ma arrivano dall'altra parte del mondo, 
se i fertilizzanti che usano per far crescere il mais uccidono le api, 
se le cose buone fanno ingrassare, 
se posso coltivare il mio orto, ma non so da dove provengono i semi che pianto,
se le cotture alterano i valori nutrizionali, 
se devo dire no agli OGM, 
se il cibo deve essere anche 'confort food', 
se il pollo viene allevato come un Mr Universo, 
se il futuro è negli insetti, 
se i lieviti chimici lievitano nella mia pancia, 
se il pesce è sempre più inquinato dal mercurio, 
se devo mangiare un sacco di semi, 
se sembra che solo aglio e cavoli facciano bene, 
se esistono le frodi alimentari, 
se...

Alla fine mi chiedo SE devo mangiare.




lunedì 30 novembre 2015

Coca Cola

“Una Coca Cola è sempre una Coca Cola e non c’è quantità di denaro che possa farti comprare una Coca Cola più buona di quella che l’ultimo dei poveracci si sta bevendo sul marciapiede sotto casa tua. Tutte le Coca Cola sono sempre uguali e tutte le Coca Cola sono buone. Lo sa Liz Taylor, lo sa il Presidente degli Stati Uniti, lo sa il barbone e lo sai anche tu.” (Andy Warhol)


venerdì 27 novembre 2015

Voci della verità (15)

“Papà, mi chiedi cosa ne penso del mio compagno di classe T?! Penso che la natura gli abbia dato la forza, la bellezza, ma non l’acume. Mi spiace.”

(foto di Mariel Clayton)

giovedì 26 novembre 2015

The end (20)

Il giorno in cui chiederò di togliere le scarpe alle persone che entrano in casa mia sarà la fine.


mercoledì 25 novembre 2015

Mi piacciono i cimiteri

Mi piacciono i cimiteri. Tutti. Indistintamente. Quelli piccoli di montagna, come quello dove è sepolto mio nonno; quelli di cemento coi lumini elettrici nelle periferie dei paesi, come quello del paese in cui vivo; quelli a picco sul mare, come quello dove dovrebbero essere sepolti i miei zii siciliani; quelli antichi, come quello dove è sepolto mio padre a Istanbul. Mi piacciono tutti.
Mi piacciono i pensieri che mi vengono quando sono in un cimitero, quasi mai pensieri tristi.
Nei cimiteri mi sento tranquilla. Giro tra le tombe e penso alla vita, soprattutto alla mia di vita, e a come vorrei morire.
Mi piace andarci coi miei figli: parliamo a bassa a voce, ci fermiamo davanti alle tombe, a volte i bambini recitano una preghiera mezza giusta, mezza sbagliata, molto inventata, a volte ci viene da piangere, a volte da ridere. Spesso mi fanno domande. Parliamo e ci sentiamo vicini.
L’altro giorno sono stata al Cimitero Monumentale di Milano, un posto incredibile, zeppo di vita, di storia, di arte e ho visto sculture e monumenti bellissimi.
Ho visto un cavaliere addormentato con lo spadone tra le gambe e l'ho fotografato perché me lo ha chiesto C.
Le scarpine con le calzine corte di una bambina di bronzo che potrebbe essere S.
Una mamma che guarda estasiata il suo bambino cicciottello.
Gesù crocefisso tra le colonne nere di smog del Foro Romano a Milano.
Una teatrale e leonardesca Ultima Cena, con personaggi enormi di bronzo, e un Giuda riconoscibilissimo perché brutto e quindi cattivo.
Una sposa fin troppo inconsolabile.
Una signora fin troppo ben educata.
Un gruppo scultoreo Annunciazione + Pietà che mi ha sorpreso e commosso.
Un angelo che secondo F sta sussurrando nell’orecchio alla bambina “svegliati, svegliati, devi andare a scuola, svegliati, svegliati”.
Due genitori che piangono nudi abbracciati composti la morte del loro bambino e intorno i buchi nel marmo lasciati dalle schegge delle bombe cadute su Milano in guerra.
Tre fanciulle che danzano tenendo tra le mani i giocattoli del bambino che è morto.
Una barca che solca mesta il mare trasportando il corpo del bambino che è morto.
Dei piccioni.
Un angelo che medita.
Una scultura di Lucio Fontana che a F ha ricordato la Nike di Samotracia e che C guardandola non ha pensato “questa la posso fare anch'io” però i tagli di Fontana sì che “li posso fare anch’io”, ahimè.
La tomba di Franca Rame, “bella ciao!”.
Una albero secco da cui sgorga acqua potabile.
Una lapide su cui Medardo Rosso ha voluto lasciare la domanda che tutti ci facciamo di fronte alla morte: “perché?”, ma il punto interrogativo è saltato via e senza punto interrogativo la domanda non è più una domanda.
Due alieni in strano equilibrio su un piatto.
Gesù che si fa una tac.
Una colonna tortile in cui puoi entrare.
Una giovane mamma che si riposa dopo il parto.
Un mosaico azzurro come il mare sullo sfondo di raffinati ramoscelli, elegante.
Mi piacciono i cimiteri. Tutti. Indistintamente. Ma, per favore, non seppellitemi in un cimitero. Grazie.

martedì 24 novembre 2015

lunedì 23 novembre 2015

Aspettare

Alla mattina la giornata le appariva piena di possibilità.
Poi, però, arrivava subito sera. 
E, alla sera, la signorina Emme si rendeva conto di aver trascorso tutta la giornata ad aspettare. 
Solo ad aspettare.
Aspettava che suonasse la sveglia.
Aspettava che tutti uscissero di casa.
Aspettava che iniziasse il suo programma preferito alla radio.
Aspettava l’arrivo del postino.
Aspettava che facesse meno freddo per uscire a correre.
Aspettava che arrivassero le tredici e trenta per mettersi a cucinare.
Aspettava che rientrasse il figlio da scuola.
Aspettava che arrivasse il momento di uscire per andare a prendere la figlia a scuola.
Aspettava il marito per l’ora di cena.
Aspettava che le venisse sonno guardando la televisione o leggendo un libro.
La signorina Emme trascorreva tutto il suo tempo ad aspettare. 
Lo faceva in silenzio.
In silenzio assoluto. 
Perché la signorina Emme un giorno di alcuni anni fa aveva smesso di parlare.


venerdì 20 novembre 2015

Voci della verità (14)

All’uscita di una scuola elementare due ragazzini di quindici/sedici anni aspettano fianco a fianco, alti, seri, fermi, in silenzio. A un certo punto, senza cambiare posizione e senza levare gli occhi dal portone che dall’interno si sta aprendo lentamente, uno domanda all’altro: “Non ti stai sentendo un po’ padre?”


martedì 17 novembre 2015

Era stata ininterrottamente intelligente

“Era stata ininterrottamente intelligente, aveva accolto i suoi malumori di egocentrico, attutendo l’urto tutte le volte che si accorgeva della sua pigrizia e di quanto lo avvicinasse al fallimento. L’aveva ascoltato fino a scomparire nell’ascolto. Lui da lei riusciva sempre a ricavare l’immagine di un uomo capace di far ridere sua moglie e lei rideva rideva, accendeva candele, si cambiava per la cena, faceva cambiare i figli, dava loro una parte in commedia, e le loro cene erano sempre così diverse dal vuoto, dal buio, dallo stridere delle televisioni accese che li avevano spaventati quando erano ragazzi e vedevano gli adulti cedere alla non-vita, ruminando ore e giorni, come vecchi capi di bestiame.” (Lidia Ravera, “Maledetta gioventù”)

(foto di Vivian Maier) 

lunedì 16 novembre 2015

Sei vecchio se…

Sei vecchio se per cena hai voglia di qualcosa di caldo.
Se, dopo cena, hai voglia di qualcosa di dolce.
Se devi fare la mammografia ogni anno.
Se quando vedi un bimbo piccolo, sorridi in automatico.
Se ti dà fastidio il disordine.
Se ti dà fastidio il rumore.
Se vai a visitare Vienna, la città che fino a ieri consideravi “da vecchi” e non ci saresti andata nemmeno in gita coi compagni al liceo.
Se non ne puoi più dei “classici”, né della letteratura né dell’arte.
Se pensi cose “di destra” e le dici.
Se non sopporti chi non rispetta le regole.
Se alla mattina ti guardi allo specchio e pensi di doverti truccare subito.
Se ti lavi i capelli tutti i giorni perché così hai la testa a posto.
Se non puoi più mangiare quello che vuoi quando vuoi.
Se non ci vedi più nemmeno da vicino.
Se ti piace il bollito.
Se hai capito che l’amore eterno non esiste ma che l’importante è stare insieme.
Se ti preoccupa il meteo.
Se temi la macchina in riserva.
Se compri vestiti comodi.
Se, quando fai una visita medica, la dottoressa è più giovane di te.
Se ti convinci che i capelli lunghi non siano più opportuni e nemmeno gli orecchini vistosi.
Se ti dà i nervi la sicurezza inattaccabile degli adolescenti.
Se pensi alla morte.


domenica 15 novembre 2015

Incomprensioni

“Le incomprensioni sono così strane
sarebbe meglio evitarle sempre
per non rischiare di aver ragione
ché la ragione non sempre serve."
(Tiromancino, “Per me è importante”)

(illustrazione di Nathalie Parain)