"La soluzione alla mia vita mi venne in mente una sera mentre stiravo una camicia.Era semplice ma audace. Mi presentai in soggiorno dove mio marito stava guardando la televisione e dissi: - Ho pensato che dovrei avere uno studio.
Sembrava un'idea stravagante perfino a me. Che cosa me ne faccio di uno studio? Ho una casa: è bella, spaziosa e ha la vista sul mare; offre vani adatti a mangiare e dormire, farsi un bagno e chiacchierare con gli amici. Ho anche un giardino; lo spazio non manca.
No. Ma a questo punto arriva la rivelazione non facile: sono una scrittrice. Detto così non suona bene. Troppo presuntuoso; fasullo, o quantomeno poco convincente. Riproviamoci. Scrivo. Va meglio? Cerco di scrivere. Così è anche peggio. Falsa modestia. Dunque?
Non fa niente. Comunque la metta, le mie parole producono una pausa di silenzio, quel momento delicato in cui ci si espone. Gli altri sono gentili però, il silenzio viene presto assorbito dallo zelo di voci cordiali che in vari modi esclamano, che meraviglia, buon per te, ma che cosa interessante. E cosa scrivi, chiedono entusiasticamente. Narrativa, rispondo, sopportando ormai la mortificazione con disinvoltura, perfino con un velo di insolenza, che non è stata una mia prerogativa, e ancora, immancabilmente, i cerchi di palpabile sgomento vengono spianati con prontezza da quelle voci piene di tatto, che tuttavia hanno dato fondo alla riserva di frasi consolatorie, e riescono soltanto a dire: "Ah!" (A. Munro, "Lo studio" in "Danza delle ombre felici")
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