lunedì 21 settembre 2015

Un po’

E alla fine arrivò il momento della tesi. Cercò l’argomento, pensò di averlo trovato, si preparò e lo propose entusiasta alla Professoressa. Non andò bene. “Arte bizantina? Signorina, lei è matta. No no, troppo lontano, cerchi qualcosa di locale, per favore, anche se suo padre vive a Istanbul, troppo lontano, rimanga in Lombardia per l’amor di dio!”.
Tornò a casa delusa, con la coda ferma tra le gambe. Dopo qualche giorno si guardò intorno e le sembrò di aver trovato qualcosa. Un palazzotto del Settecento, in Brianza, vicinissimo a casa, con la facciata incompiuta e sgarrupata e stanze affrescate tutte mediocremente tranne una, la Sala di Bacco. Tornò dalla Professoressa con le fotografie nello zaino e andò meglio. “Okay, signorina, ci siamo. Insomma questi affreschi non si possono guardare, ma questi sì, sono davvero interessanti. Inizi a lavorarci, ci rivediamo tra un mese.”
Un mese, due mesi, un anno, un anno e mezzo. Fu un lavoro lungo. Ricerche d’archivio, analisi di documenti, studio delle immagini, confronti. Ci mise del tempo e tanta fatica. Troppa, probabilmente. Ma alla fine ce la fece. Riuscì ad attribuire a Carlo Donelli detto il Vimercati gli affreschi della stanza più bella e nell’Istituto di Storia dell’Arte di Milano ci fu un piccolo caso. Certo, spesso avrebbe voluto mollare, buttare tutto e dimenticarsi di essersi mai iscritta all’Università, ma un bel giorno il lavoraccio terminò, e così andò a discuterlo.
Prese 109 su 110. “Che strano voto”, pensò sottovoce. O 110 o 108, cosa vuol dire 109? Poi tornò a casa poco convinta e poco contenta. Allora le capitava spesso di essere poco convinta e poco contenta.
Ci ripensò spesso a quello strano voto e dopo qualche anno, quando iniziò a scrivere per lavoro, capì. Nella sua tesi di laurea in Lettere aveva scritto “un po’” con l’accento invece che con l’apostrofo. Per trecento pagine.



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