E alla fine arrivò il momento della tesi. Cercò l’argomento,
pensò di averlo trovato, si preparò e lo propose entusiasta alla Professoressa.
Non andò bene. “Arte bizantina? Signorina, lei è matta. No no, troppo lontano, cerchi qualcosa di locale, per favore, anche se suo padre vive a Istanbul, troppo
lontano, rimanga in Lombardia per l’amor di dio!”.
Tornò a casa delusa, con la coda ferma tra le gambe. Dopo
qualche giorno si guardò intorno e le sembrò di aver trovato qualcosa.
Un palazzotto del Settecento, in Brianza, vicinissimo a casa, con la facciata
incompiuta e sgarrupata e stanze affrescate tutte mediocremente tranne una, la Sala di Bacco.
Tornò dalla Professoressa con le fotografie nello zaino e andò meglio. “Okay,
signorina, ci siamo. Insomma questi affreschi non si possono guardare, ma questi
sì, sono davvero interessanti. Inizi a lavorarci, ci rivediamo tra un mese.”
Un mese, due mesi, un anno, un anno e mezzo. Fu un lavoro
lungo. Ricerche d’archivio, analisi di documenti, studio delle immagini,
confronti. Ci mise del tempo e tanta fatica. Troppa, probabilmente. Ma alla
fine ce la fece. Riuscì ad attribuire a Carlo Donelli detto il Vimercati gli
affreschi della stanza più bella e nell’Istituto di Storia dell’Arte di Milano ci
fu un piccolo caso. Certo, spesso avrebbe voluto mollare, buttare tutto e dimenticarsi
di essersi mai iscritta all’Università, ma un bel giorno il lavoraccio terminò,
e così andò a discuterlo.
Prese 109 su 110. “Che strano voto”, pensò sottovoce. O 110
o 108, cosa vuol dire 109? Poi tornò a casa poco convinta e poco contenta. Allora
le capitava spesso di essere poco convinta e poco contenta.
Ci ripensò spesso a quello strano voto e dopo qualche anno,
quando iniziò a scrivere per lavoro, capì. Nella sua tesi di laurea
in Lettere aveva scritto “un po’” con l’accento invece che con l’apostrofo. Per
trecento pagine.
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