La scorsa settimana ho visto su Rai Movie un film francese
di qualche anno fa che avevo perso al cinema e il cui titolo da romanzo
italiano contemporaneo mi ha sempre attratto molto: “Un sapore di ruggine e
ossa” di Jacques Audiard, con Marion Cottillard e Matthias Schoenaerts.
Alì dal nord della Francia si trasferisce col figlioletto in
Costa Azzurra a casa della sorella, cerca un lavoro e, mentre fa il buttafuori
in una discoteca, conosce Stephanie, bella e tenebrosa, che è andata a ballare
da sola e che si è ferita perché è finita in una rissa. Lui, apparente
gentiluomo, l’accompagna a casa, cerca di sedurla, ma lei non ci sta –o non fa
in tempo a starci…- soprattutto perché è fidanzata con uno, brutto e antipatico.
Passa il tempo.
Stephanie di mestiere addestra orche in un parco acquatico. Un
giorno, durante uno spettacolo, avviene un incidente terribile e lei si fa
malissimo. Si risveglia in ospedale con entrambe le gambe amputate. Poi, menomata,
disperata e sola, va a vivere in una nuova casa. Alì intanto riprende a tirare di boxe.
Passa il tempo.
Stephanie guarda triste fuori dalla finestra, poi un giorno
lo chiama. Lui, che è un tipo di pochissime parole, la va a trovare subito e non
sembra preoccuparsi più di tanto che lei abbia perso entrambe le gambe, anzi la
porta al mare e la fa nuotare. Stanno bene insieme, si divertono e si capisce
che si piacciono. Poi lui inizia a fare incontri clandestini di boxe e lei lo
va a guardare e la situazione la attrae e la disturba allo stesso tempo. Un
giorno parlano di sesso e decidono a tavolino di farlo: lei inizialmente si fa
un sacco di menate perché insomma non ha più le gambe, solo le cosce, lui
invece non si fa nessun problema, anzi. Fare sesso a Stephanie fa bene. Torna a
vivere e a essere bella. Si fa tatuare sulla coscia destra la parola “droite”,
e sulla sinistra “gauche”. Figo. Poi però lei s’innamora, è gelosa delle altre
donne che Alì saltuariamente frequenta e vorrebbe da lui un coinvolgimento
diverso. Ma lui non ce la fa. Alì sembra incapace di provare emozioni. Alì è
una macchina da combattimento, perfetta per la boxe e per il sesso con Stephanie
e con chiunque ci stia. Ma è anche un tipo nervoso: tratta male il bambino e
combina un casino, e sua sorella perde il lavoro per colpa sua e quindi lo
manda via. Lui se ne torna al nord senza avvisare e salutare nessuno, e inizia
ad allenarsi seriamente.
Un giorno il suo bambino lo va a trovare. Giocano, si
divertono nella neve, fanno scivolate su un laghetto ghiacciato. Poi lui lo
perde d’occhio. Fa pipì, si gira e non lo vede più. Poi si accorge di un buco
nel ghiaccio: il bambino è finito in acqua, il bambino è sotto una lastra di
ghiaccio. Lui la spacca a pugni. Lo recupera in extremis e corrono in
ospedale. Lui ha le ossa spaccate di entrambe le mani, il piccolo rischia di
morire. Nel momento di massima disperazione lei lo chiama e lui finalmente si
lascia andare, piange disperato e le chiede di non lasciarlo solo.
Passa il tempo.
Alì diventa un campione di boxe, il figlio sorride
orgoglioso avvinghiato al suo papà, Stephanie è felice con loro. Tutti si
riscattano. The (happy) end, grazie a dio.
Ma perché “Un sapore di ruggine e ossa”? Perché questo
titolo da romanzo italiano contemporaneo che tanto mi piace? Forse Stephanie ha
il sapore di ossa anche se le ossa le ha perse ma è forte e solida come devono
essere le ossa, mentre Alì sa di ruggine che si forma sul ferro e che fatica ad
andar via, ma se ti impegni ce la fai, la gratti via e il ferro torna pulito e
lucido? Boh.
Voto: 6/7
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