Difficile scrivere di Quentin Tarantino, come difficile è
stato scrivere di Paolo Sorrentino. Perché, come Sorrentino, anche Tarantino
divide, o lo ami o lo odi, e chi lo ama potrebbe non sopportare pareri
approssimativi come i miei. Ad aggravare la mia posizione, inoltre, c’è che non
sono una cultrice dei suoi film, a differenza di quelli di Sorrentino che amo
senza mezze misure.
“Le iene” non mi aveva divertito più di tanto; “Pulp Fiction”
e i “Kill Bill” con Uma Thurman mi sono piaciuti, mentre “Django” e “Bastardi
senza gloria” sono film più di C. che miei.
Ma ho deciso di essere coraggiosa e di scrivere lo stesso un
post sull’ultimo film di Tarantino, uscito in Italia col titolo originale, cosicché
alla cassa, per far prima e non scivolare sulla pronuncia, io e la leti abbiamo
chiesto: “due tarantini, per favore!”.
“The Hateful Eight” è il primo film di Tarantino che vedo al
cinema, tutti gli altri li ho visti in tv. E ho fatto bene, perché al cinema
film come questi sono tutt'altra cosa. Infatti “The Hateful Eight” me lo
sono goduto più degli altri, e mi è piaciuto più degli altri.
In particolare mi hanno colpito:
1. la cura minuziosa dei dettagli che rende il film
esteticamente impeccabile.
2. L’amore di Quentin Tarantino
per il cinema tutto e per il proprio
mestiere che traspaiono in ogni minuto dei quasi centosettanta del film.
2. Le musiche di Morricone, ovviamente.
3. La bravura imbarazzante di tutti gli attori, nessuno
escluso.
4. I dialoghi. Giusti, divertenti, sorprendenti, strani,
matti e chi più ne ha più ne metta, di aggettivi intendo.
5. La storia.
(Wyoming, seconda metà dell’Ottocento, Guerra di Secessione
appena terminata, una diligenza corre più veloce che può perché la tempesta
incalza, dentro ci sono il cacciatore di taglie John Ruth (interpretato da Kurt
Russel) e la sua prigioniera Daisy, matta come un cavallo (magnificamente interpretata
da Jennifer Jason Leigh). Lungo il
tragitto John Ruth accetta scettico di dare un passaggio al Maggiore Warren (Samuel
L. Jackson), un cacciatore di taglie nero che ha combattuto a fianco dei
nordisti, e poi a Mannix (Walton Gonnix), un sudista che deve raggiungere la
località di Red Rock per diventarne sceriffo. I quattro arrivano all’Emporio di
Minnie e lì si fermano per far passare la bufera. Per diverse ore si troveranno
a condividere spazio e tempo con gli altri quattro ospiti chiusi nella locanda:
un cowboy silenzioso che sta scrivendo la propria biografia, un vecchio
generale sudista che non si alza mai dalla poltrona, un messicano ombroso e un
inglese compito e forbito che di mestiere impicca gente. Rapidamente l’ambiente
si “avvelena” sotto ogni punto di vista e allora bla bla bla.)
6. Il mix di generi. “The Hateful Eight” è un western alla
Sergio Leone, un’opera teatrale pirandelliana, un giallo alla Agatha Christie, un
thriller, un dramma giudiziario, un film splatter, una commedia, un film
intellettuale, un film politico…
7. Il montare della tensione. Perché nonostante l’azione si
svolga prevalentemente in interni (prima in carrozza, poi nell’Emporio di
Minnie) il ritmo è incalzante. Fin da subito hai l’impressione che qualcosa
possa improvvisamente accadere e che nessuno dei personaggi la stia raccontando
giusta.
7. I due momenti “politici”, quando in carrozza il sudista
Mannix e il nordista Maggiore Warren litigano sulla guerra, e poi nell’emporio
di Minnie, quando il boia inglese (Tim Roth) parla di giustizia.
Il mio voto? Un bel 9.
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