lunedì 15 febbraio 2016

The Hateful Eight

Difficile scrivere di Quentin Tarantino, come difficile è stato scrivere di Paolo Sorrentino. Perché, come Sorrentino, anche Tarantino divide, o lo ami o lo odi, e chi lo ama potrebbe non sopportare pareri approssimativi come i miei. Ad aggravare la mia posizione, inoltre, c’è che non sono una cultrice dei suoi film, a differenza di quelli di Sorrentino che amo senza mezze misure.
“Le iene” non mi aveva divertito più di tanto; “Pulp Fiction” e i “Kill Bill” con Uma Thurman mi sono piaciuti, mentre “Django” e “Bastardi senza gloria” sono film più di C. che miei.
Ma ho deciso di essere coraggiosa e di scrivere lo stesso un post sull’ultimo film di Tarantino, uscito in Italia col titolo originale, cosicché alla cassa, per far prima e non scivolare sulla pronuncia, io e la leti abbiamo chiesto: “due tarantini, per favore!”.
“The Hateful Eight” è il primo film di Tarantino che vedo al cinema, tutti gli altri li ho visti in tv. E ho fatto bene, perché al cinema film come questi sono tutt'altra cosa. Infatti “The Hateful Eight” me lo sono goduto più degli altri, e mi è piaciuto più degli altri.


In particolare mi hanno colpito:
1. la cura minuziosa dei dettagli che rende il film esteticamente impeccabile.
2. L’amore di Quentin TarantinoQuentin TarantinQWW per il cinema tutto e per il proprio mestiere che traspaiono in ogni minuto dei quasi centosettanta del film.
2. Le musiche di Morricone, ovviamente.
3. La bravura imbarazzante di tutti gli attori, nessuno escluso.
4. I dialoghi. Giusti, divertenti, sorprendenti, strani, matti e chi più ne ha più ne metta, di aggettivi intendo.
5. La storia.
(Wyoming, seconda metà dell’Ottocento, Guerra di Secessione appena terminata, una diligenza corre più veloce che può perché la tempesta incalza, dentro ci sono il cacciatore di taglie John Ruth (interpretato da Kurt Russel) e la sua prigioniera Daisy, matta come un cavallo (magnificamente interpretata da Jennifer Jason Leigh). Lungo il tragitto John Ruth accetta scettico di dare un passaggio al Maggiore Warren (Samuel L. Jackson), un cacciatore di taglie nero che ha combattuto a fianco dei nordisti, e poi a Mannix (Walton Gonnix), un sudista che deve raggiungere la località di Red Rock per diventarne sceriffo. I quattro arrivano all’Emporio di Minnie e lì si fermano per far passare la bufera. Per diverse ore si troveranno a condividere spazio e tempo con gli altri quattro ospiti chiusi nella locanda: un cowboy silenzioso che sta scrivendo la propria biografia, un vecchio generale sudista che non si alza mai dalla poltrona, un messicano ombroso e un inglese compito e forbito che di mestiere impicca gente. Rapidamente l’ambiente si “avvelena” sotto ogni punto di vista e allora bla bla bla.)
6. Il mix di generi. “The Hateful Eight” è un western alla Sergio Leone, un’opera teatrale pirandelliana, un giallo alla Agatha Christie, un thriller, un dramma giudiziario, un film splatter, una commedia, un film intellettuale, un film politico…
7. Il montare della tensione. Perché nonostante l’azione si svolga prevalentemente in interni (prima in carrozza, poi nell’Emporio di Minnie) il ritmo è incalzante. Fin da subito hai l’impressione che qualcosa possa improvvisamente accadere e che nessuno dei personaggi la stia raccontando giusta.
7. I due momenti “politici”, quando in carrozza il sudista Mannix e il nordista Maggiore Warren litigano sulla guerra, e poi nell’emporio di Minnie, quando il boia inglese (Tim Roth) parla di giustizia.

Il mio voto? Un bel 9.

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