giovedì 27 ottobre 2016

Le ragazze

Ho abbandonato l’ultimo romanzo di Orhan Pamuk sul ripiano della mia libreria.
Non ce l’ho fatta, mi è venuto a noia a pagina centododici. Poi magari lo riprendo, mi son detta con pochissima convinzione mentre lo riponevo sullo scaffale.
Così, non avendo niente di nuovo da leggere, me ne sono andata in libreria.
Il mio acquisto è stato, come spesso mi capita, assai rapido: ho comprato "Le ragazze" di Emma Cline. E l’ho scelto solo per la copertina, lo giuro. E forse un po’ anche per il titolo.


In “Le ragazze” ho trovato quello che speravo di trovare.
Ho trovato:
- una scrittrice americana, di talento, giovane giovane, al suo esordio letterario.
- Un buon thriller.
- Una storia torbida che si svolge in estate. 
(La trama in breve: Evie Boyd ha quattordici anni e si sente invisibile; il padre è un vanitoso che se ne è andato di casa con una donna più giovane; la madre è una donna di mezza età a pezzi che cerca di rimanere a galla, di rimanere in forma e di piacere agli uomini; la sua amica del cuore è anonima; i ragazzi non la considerano. Un giorno, però, conosce Suzanne e le sue amiche, selvagge, fuori dagli schemi, libere e disinibite, e ne rimane soggiogata. Decide di seguirle nel ranch dove vivono, una comunità/setta dove ragazzi, ragazze e bambini trascorrono le giornate allo stato brado, in adorazione di Russel, il leader che agogna a diventare una rockstar. Poco cibo, tante droghe, niente soldi, tanta sporcizia, sesso libero. Evie scopre un nuovo e anticonformista modo di vivere e ne è affascinata e turbata allo stesso tempo. Ma quando Mitch, il cantante amico di Russel, verrà meno al patto e l’agognato contratto discografico salta, si scatenerà una reazione che porterà tutti all’inferno…)
- Una scrittura controllata, chiara e fluente (“Non mi chiedevo come passasse le mie giornate mia madre. Sarà stata seduta nella cucina vuota, col tavolo che odorava del marciume domestico della spugna, ad aspettare che rientrassi rumorosamente da scuola, che mio padre tornasse a casa dal lavoro.”)
- Frasi brevi, evviva.
- Emozioni che riconosco e comprendo (“A quell’età, il desiderio era spesso un atto di volontà. Uno sforzo tremendo per smussare gli spigoli più ruvidi e deludenti dei ragazzi dandogli la forma di persone che potevamo amare. Parlavamo del nostro bisogno disperato di loro con parole trite e familiari, come se stessimo leggendo le battute di un copione teatrale. A distanza di anni avrei capito questo: quant’era impersonale e disorientato il nostro amore, che mandava segnali in tutto l’universo sperando di trovare qualcuno che desse accoglienza e forma ai nostri desideri.”)
- Pagine sorprendenti.
- Pagine deludenti.
- Una capacità di mettere su carta l’inquietudine dell’adolescenza che mi ha lasciato a bocca aperta.
- Un po’ di Breat Easton Ellis.
- Un po’ di Dacia Maraini.
- Un po’ di Edna O’Brien
- Un po’ di Joyce Carol Oates.
- I figli dei fiori della fine degli anni Sessanta (il riferimento alle vicende legate alla setta di Charles Manson è ovviamente lampante).
- La California.
- La solitudine e le paure di una donna che ha la mia età e che ricorda bene come era a quattordici anni (“Era quello il nostro errore, credo. Uno dei tanti. Credere che i ragazzi agissero in base a una logica che un giorno avremmo potuto capire. Credere che le loro azioni avessero un senso a parte il puro sconsiderato impulso. Eravamo come complottiste, vedevamo portento e intenzione in ogni dettaglio, desideravamo disperatamente essere abbastanza importanti da diventare oggetto di pianificazione e congetture. Ma quelli erano solo ragazzi. Stupidi, giovani, semplici: non nascondevano un bel niente.”)
- La giovinezza.
- La bellezza selvaggia e fragile della giovinezza.

Voto: 9

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