“Tamar era dolce e gentile, ma il
mondo in cui si muoveva sembrava un set televisivo: limitato, elementare e
prosaico, con le notazioni e le strutture della normalità. Colazione, pranzo e
cena. Non c’era un divario spaventoso fra la vita che viveva e il suo modo di
vedere quella vita, un abisso oscuro che spesso percepivo in Suzanne e forse
anche in me stessa. Né io né lei riuscivamo a partecipare pienamente alle
nostre giornate, anche se in seguito Suzanne ci avrebbe partecipato in maniera
irreversibile. Voglio dire che non credevamo mai davvero che fosse abbastanza,
ciò che ci veniva offerto, mentre Tamar sembrava accettare il mondo
felicemente, come fine a sé stesso. I suoi progetti non prevedevano nessun
reale cambiamento: si limitava a riorganizzare le stesse quantità note,
architettando un nuovo ordine come se la vita fosse una continua assegnazione
di posti a tavola.” (Emma Cline, "Le ragazze")
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