“Pensa alle mamme degli uccellini. Quando i loro piccoli
lasciano il nido per imparare a volare delle due, l’una: o ce la fanno e volano
via oppure precipitano dall'albero e si sfracellano”, dice lui a lei mentre aspettano loro figlio che ritarda nel rientrare da scuola.
(immagine tratta da "Secret Garden" di Johanna Basford)
Regola numero 2: alle medie, mamma, niente mano e niente
baci.
Può capitare che la mamma accompagni l’(ex)bambino a
scuola. Non è vietato. Basta attenersi alla regola numero due: non
ci si avvicina alla scuola tenendo per mano l’(ex)bambino e non lo si bacia davanti
all'ingresso. Questo vale anche se l’(ex)bambino quando è a casa riempie la
mamma di baci, di abbracci e le chiede di fargli il solletico sul lettone come
quando aveva due anni.
Studi recenti hanno dimostrato che la mamma sarà in
grado di abituarsi alla nuova realtà.
Aldo Grasso l’ha sdoganato sul corriere.it definendolo un
programma per un pubblico “smart”. Quindi posso fare coming out: dichiaro di
essere un’appassionata spettatrice di “Pechino Express”, reality show in onda
il lunedì su Rai2 alle 21.15 circa, e che appassionati spettatori lo sono anche
i miei figli e mio marito.
Il programma è ormai giunto alla sua terza edizione e penso
di non essermi persa nemmeno una puntata. È che “Pechino Express” mi diverte e, a
differenza di altri reality, è originale e per niente volgare. Unico neo: F e S
il lunedì vanno a letto tardi e alla mattina svegliarli è impegnativo… per cui,
cari produttori di “Pechino Express” che state leggendo il mio blog, vi chiedo:
perché l’anno prossimo non lo mandate in onda il venerdì? o il sabato? Rimango
in attesa di un cortese riscontro e ringrazio in anticipo per l’attenzione.
Torniamo a noi. Il format, per chi non lo conoscesse, prevede
che otto coppie più o meno famose debbano compiere un lungo viaggio in alcuni
dei paesi più affascinanti d’Oriente con lo zaino in spalla, un euro al giorno
per mangiare, spostandosi da un posto all'altro in autostop e dormendo in
luoghi di fortuna, potendo contare solo sull'ospitalità e generosità della
popolazione locale. Quest’anno i concorrenti dovranno attraversare Birmania,
Malesia, Singapore e Indonesia. Vince la coppia che arriva per prima alla tappa
prefissata all'inizio di ogni puntata e, in ogni puntata, una coppia può essere
eliminata.
Il programma è condotto da un ex concorrente della prima
edizione, Costantino della Gherardesca, che mi piace perché è sagace, moderno,
colto e ironico al punto giusto, insomma ci sa fare, è a proprio agio nel ruolo
e non è invadente.
Le coppie vivono esperienze estreme e sono messe alla prova,
a volte anche con durezza. Si capisce che sono state selezionate con cura
perché i caratteri vengono fuori e tu impari a conoscerle puntata dopo puntata,
inizi anche ad affezionarti e a “gareggiare” con loro. Ti scegli la "tua" coppia e fai il tifo per lei fino alla fine.
Quest’anno le coppie in gioco mi sembrano particolarmente
interessanti. La mia preferita è la coppia delle Cougar, composta da Eva
Grimaldi e Roberta Garzia, due donne non giovanissime, simpatiche, autoironiche,
coraggiose e a loro modo anche eleganti.
F, invece, tiene ai Fratelli
(Clementino - il rapper di "O'Vient" , colonna sonora delle nostre vacanze in Croazia l’anno scorso - e suo
fratello); S, che fa ginnastica artistica, tifa per i “colleghi” Coreografi.
Mentre C ha iniziato con gli Eterosessuali pensando a chissà cosa (in realtà si
tratta di due figaccioni talmente molli che sono già stati eliminati dal
gioco…) ma poi li ha abbandonati e ora tiene ai Coinquilini, due veri maranza
della periferia milanese che però sono forti e ci fanno ridere.
“Pechino Express” non è trasmesso in diretta, perché sarebbe
tecnicamente impossibile (tutti i concorrenti vengono seguiti durante il loro
viaggio da un cameraman che li riprende) quindi il lavoro di montaggio è
determinante. E proprio nel montaggio (e nella simpatia dei concorrenti e
nella bellezza dei paesaggi e nel ritmo del programma e nelle capacità del conduttore) sta secondo me – e secondo l’autorevole
Grasso - il punto di forza della
trasmissione.
per il mio (ex)bambino che ha iniziato la prima media e ha
un brufolo giallo sulla tempia…
Regola numero 1: alle medie si va a scuola da soli e le
mamme sbirciano dalla finestra.
Perché l’(ex)bambino sia felice e non si senta abbandonato
dalla mamma, basterà accompagnarlo a scuola il primo giorno. Poi ci andrà da
solo, o con gli amici più grandi che lo aspetteranno all’inizio della via.
L’(ex)bambino uscirà puntuale ogni mattina con lo zaino in
spalla; la mamma lo potrà guardare dalla finestra mentre cammina tranquillo al
margine della strada. Lui si volterà, le sorriderà e le farà ciao con la (ex)manina.
Dopo sei ore l’(ex)bambino tornerà a casa. La mamma potrà
affacciarsi alla finestra quando lo sentirà arrivare. Lui alzerà lo sguardo, la
vedrà, le sorriderà, e le farà ciao con la (ex)manina. Poi salirà in casa e
pranzeranno insieme.
Attenzione, però, perché potrà andare diversamente. Potrà
capitare che l’(ex)bambino torni a casa da scuola in compagnia di una ragazzina
più grande, una vicina di casa. La mamma, allora, che lo avrà sentito arrivare,
e che starà per affacciarsi alla finestra, si dovrà bloccare. Dopo un
inevitabile tumulto nello stomaco, dovrà riprendere velocemente possesso delle
proprie facoltà mentali e tornare la mamma sensibile e poco invadente che
sa di essere. Sarà opportuno che rimanga ben nascosta dietro la tenda e, da
questa posizione, potrà constatare che l’(ex)bambino non alzerà lo sguardo
verso la finestra, non la vedrà, non le sorriderà, e non le farà ciao con la (ex)manina. La
mamma dovrà comunque andare a buttare la pasta e dovrà far finta di niente per
il resto della giornata.
Studi recenti hanno dimostrato che la mamma possiede gli strumenti necessari per abituarsi alla nuova realtà.
“Allora, F, che effetto ti ha fatto tornare alla tua vecchia
scuola materna?”, chiede la mamma.
“È stato bello. Ho tanti ricordi. Gli spazi, i giochi, il giardino,
le maestre… ma soprattutto l’angolo morbido. Troppo bello, ci stavo un sacco di
tempo”.
“Ah, è vero, quanti ricordi! Anch’io adoravo l’angolo
morbido. Peccato però che stavo per perdere la vita nell’angolo morbido… vi
ricordate? È stato quando quel deficiente di Raffaele – che per fortuna ora non
vedo più perché ha cambiato scuola - ha aizzato Simone contro di me e lo ha
convinto a mordermi la schiena. Me lo ricordo come fosse ieri… mi è persino
rimasta la cicatrice!”, racconta drammatica S.
“Oh, cavolo, mi ricordo… chissà che fine ha fatto Simone? È
da tanto che non lo si vede in giro”, prosegue preoccupato F.
“Sarà in un carcere minorile”, conclude laconica S.
“Dio... Dov'è? Un tempo si diceva: in cielo. Ma il cielo non
esiste. Cos'è il cielo? Spazio. I confini dell’universo sono a tredici miliardi e settecento milioni di anni-luce... Dov'è Dio? Chi vuol crederci ci creda. Io dico ad alta
voce “no”. Certo a ottantatré anni sarebbe anche ora di cominciare a pensare al futuro,
no? Uno nella vita può fare qualche fesseria, dire qualche scempiaggine
rispetto al signore Iddio, però a ottantatré anni deve fare un po’d’attenzione. Ma la
realtà è sempre quella. Nascere, vivere, morire. E basta. Nient’altro. Spero di
morire lucido e a occhi aperti». (José Saramago, dal documentario “José e
Pilar” di Miguel Gonçalves Mendes)
“Vi pare educato comportarvi
così? Non sentite come tutto questo non sia affatto divertente? Non trovate
patetico che siate i soli a ridere delle vostre battute e delle vostre
citazioni? Non ne avete abbastanza di tutta questa autoreferenzialità? Vi
assicuro, e vi prego di fidarvi di me, che non siete spiritosi, non siete
educati, siete semplicemente molesti, per chi vi guarda e per chi vi ascolta.
Riuscite solo a fare la parte degli stupidi. Senza contare che alla fine
diventate ripetitivi. Anche le battute di Mel Brooks, di Woody Allen o di Nanni
Moretti – tutte cose che, per la cronaca, io vi ho insegnato ad amare -, ripetute
trecento volte diventano indigeste. La dovete smettere. Intesi?” (A. Piperno,
“Persecuzione”)
Incorniciato su una parete bianca della casa museo di Hermann Hesse a Montagnola, sopra Lugano, ho
trovato questo pensiero.
Le parole di Meng Hsia
“Quando uno è ormai vecchio
e ha compiuto il suo dovere
gli è concesso, nel silenzio,
stringere amicizia con la morte.
Non ha bisogno degli altri,
ne ha visti abbastanza,
ormai li conosce bene.
Ciò di cui ha bisogno è il silenzio.
Non è decoroso
andare a trovarlo,
rivolgergli la parola e tormentarlo
con le chiacchiere.
Alla porta della sua dimora conviene
passar oltre,
come se fosse l’abitazione
di nessuno.”
Hermann Hesse non è tra i “miei” scrittori. Non lo è mai stato,
nemmeno quando ero giovane. Per colpa mia, del mio materialismo,
della mia scarsa propensione alla spiritualità e alla religione.
Ma il pensiero che Hesse ha conservato come un quadro
nella sua casa in Canton Ticino lo condivido. Perché è proprio così che vorrei trascorrere la fine dei miei giorni.
Forse era sabato. Da poco ero
tornata da scuola e stavo pranzando, probabilmente svogliatamente. Già pensavo
al pomeriggio. Alle due mi sarei chiusa in camera a studiare e non ne sarei più
uscita fino a sera. Facevo così tutti i giorni. O quasi.
Mio padre era via. Capitava
spesso perché viaggiava spesso, per lavoro.
Quel giorno inaspettatamente
rientrò a casa. Io stavo finendo di mangiare. C’era anche mia sorella.
Una
settimana prima mia madre aveva lanciato in aria un piatto di risotto. Ricordo il riso schiacciato per terra
in cucina e la fatica poi di pulire. Più o meno nello stesso periodo, con un
calcio avevo crepato un’anta di un mobile della cucina. Tutto avveniva quasi sempre
in cucina, che era grande, con le tende gialle, le piastrelle bianche con dei
grossi soli arancioni, il tavolo in mezzo e il lampadario che si tirava giù.
Mio padre e mia madre quel
sabato erano seri e ci chiesero l’attenzione, avevano qualcosa di importante da
dirci. Parlò mio padre: “Ragazze, io e la mamma abbiamo deciso di separaci”.
Ricordo bene la mia reazione. Battei le mani ed esclamai con convinzione:
“Avete tutta la mia approvazione!”. Ero giovane.