“Una Coca Cola è sempre una Coca Cola e non c’è quantità di
denaro che possa farti comprare una Coca Cola più buona di quella che l’ultimo
dei poveracci si sta bevendo sul marciapiede sotto casa tua. Tutte le Coca Cola
sono sempre uguali e tutte le Coca Cola sono buone. Lo sa Liz Taylor, lo sa il
Presidente degli Stati Uniti, lo sa il barbone e lo sai anche tu.” (Andy
Warhol)
lunedì 30 novembre 2015
venerdì 27 novembre 2015
Voci della verità (15)
“Papà, mi chiedi cosa ne penso del mio compagno di classe
T?! Penso che la natura gli abbia dato la forza, la bellezza, ma non l’acume. Mi
spiace.”
(foto di Mariel Clayton)
giovedì 26 novembre 2015
mercoledì 25 novembre 2015
Mi piacciono i cimiteri
Mi piacciono i cimiteri. Tutti. Indistintamente. Quelli piccoli
di montagna, come quello dove è sepolto mio nonno; quelli di cemento coi lumini
elettrici nelle periferie dei paesi, come quello del paese in cui vivo; quelli a
picco sul mare, come quello dove dovrebbero essere sepolti i miei zii siciliani; quelli antichi, come quello dove è sepolto mio padre a Istanbul. Mi piacciono
tutti.
Mi piacciono i pensieri che mi vengono quando sono in un
cimitero, quasi mai pensieri tristi.
Nei cimiteri mi sento tranquilla. Giro tra le tombe e penso
alla vita, soprattutto alla mia di vita, e a come vorrei morire.
Mi piace andarci coi miei figli: parliamo a bassa a voce, ci fermiamo davanti alle tombe, a volte i bambini recitano una preghiera mezza giusta, mezza sbagliata, molto inventata, a volte ci viene da piangere, a volte da ridere. Spesso mi fanno domande. Parliamo e ci sentiamo vicini.
Mi piace andarci coi miei figli: parliamo a bassa a voce, ci fermiamo davanti alle tombe, a volte i bambini recitano una preghiera mezza giusta, mezza sbagliata, molto inventata, a volte ci viene da piangere, a volte da ridere. Spesso mi fanno domande. Parliamo e ci sentiamo vicini.
L’altro giorno sono stata al Cimitero Monumentale di Milano,
un posto incredibile, zeppo di vita, di storia, di arte e ho visto sculture e
monumenti bellissimi.
Ho visto un cavaliere addormentato con lo spadone tra le
gambe e l'ho fotografato perché me lo ha chiesto C.
Le scarpine con le calzine corte di una bambina di bronzo
che potrebbe essere S.
Una mamma che guarda estasiata il suo bambino cicciottello.
Gesù crocefisso tra le colonne nere di smog del Foro Romano a
Milano.
Una teatrale e leonardesca Ultima Cena, con personaggi
enormi di bronzo, e un Giuda riconoscibilissimo perché brutto e quindi
cattivo.
Una sposa fin troppo inconsolabile.
Una signora fin troppo ben educata.
Un gruppo scultoreo Annunciazione + Pietà che mi ha sorpreso
e commosso.
Un angelo che secondo F sta sussurrando nell’orecchio alla
bambina “svegliati, svegliati, devi andare a scuola, svegliati, svegliati”.
Due genitori che piangono nudi abbracciati composti la morte
del loro bambino e intorno i buchi nel marmo lasciati dalle schegge delle bombe cadute su Milano in guerra.
Tre fanciulle che danzano tenendo tra le mani i giocattoli
del bambino che è morto.
Una barca che solca mesta il mare trasportando il corpo del
bambino che è morto.
Dei piccioni.
Un angelo che medita.
Una scultura di Lucio Fontana che a F ha ricordato la Nike
di Samotracia e che C guardandola non ha pensato “questa la posso fare anch'io” però
i tagli di Fontana sì che “li posso fare anch’io”, ahimè.
La tomba di Franca Rame, “bella ciao!”.
Una albero secco da cui sgorga acqua potabile.
Una lapide su cui Medardo Rosso ha voluto lasciare la
domanda che tutti ci facciamo di fronte alla morte: “perché?”, ma il punto
interrogativo è saltato via e senza punto interrogativo la domanda non è più una domanda.
Due alieni in strano equilibrio su un piatto.
martedì 24 novembre 2015
lunedì 23 novembre 2015
Aspettare
Alla mattina la giornata le appariva piena di
possibilità.
Poi, però, arrivava subito sera.
E, alla sera, la signorina
Emme si rendeva conto di aver trascorso tutta la giornata ad aspettare.
Solo ad
aspettare.
Aspettava che suonasse la sveglia.
Aspettava che tutti uscissero di casa.
Aspettava che iniziasse il suo programma preferito alla
radio.
Aspettava l’arrivo del postino.
Aspettava che facesse meno freddo per uscire a correre.
Aspettava che arrivassero le tredici e trenta per mettersi a cucinare.
Aspettava che rientrasse il figlio da scuola.
Aspettava che arrivasse il momento di uscire per andare a
prendere la figlia a scuola.
Aspettava il marito per l’ora di cena.
Aspettava che le venisse sonno guardando la televisione o
leggendo un libro.
La signorina Emme trascorreva tutto il suo tempo ad
aspettare.
Lo faceva in silenzio.
In silenzio assoluto.
Perché la signorina Emme un giorno di
alcuni anni fa aveva smesso di parlare.
venerdì 20 novembre 2015
Voci della verità (14)
All’uscita di una scuola elementare due ragazzini di
quindici/sedici anni aspettano fianco a fianco, alti, seri, fermi, in silenzio. A un certo
punto, senza cambiare posizione e senza levare gli occhi dal portone che dall’interno si sta aprendo
lentamente, uno domanda all’altro: “Non ti stai sentendo un po’ padre?”
mercoledì 18 novembre 2015
martedì 17 novembre 2015
Era stata ininterrottamente intelligente
“Era stata ininterrottamente intelligente, aveva accolto i
suoi malumori di egocentrico, attutendo l’urto tutte le volte che si accorgeva
della sua pigrizia e di quanto lo avvicinasse al fallimento. L’aveva ascoltato
fino a scomparire nell’ascolto. Lui da lei riusciva sempre a ricavare
l’immagine di un uomo capace di far ridere sua moglie e lei rideva rideva,
accendeva candele, si cambiava per la cena, faceva cambiare i figli, dava loro
una parte in commedia, e le loro cene erano sempre così diverse dal vuoto, dal
buio, dallo stridere delle televisioni accese che li avevano spaventati quando
erano ragazzi e vedevano gli adulti cedere alla non-vita, ruminando ore e
giorni, come vecchi capi di bestiame.” (Lidia Ravera, “Maledetta gioventù”)
(foto di Vivian Maier)
lunedì 16 novembre 2015
Sei vecchio se…
Sei vecchio se per cena hai voglia di qualcosa di caldo.
Se, dopo cena, hai voglia di qualcosa di dolce.
Se devi fare la mammografia ogni anno.
Se quando vedi un bimbo piccolo, sorridi in automatico.
Se ti dà fastidio il disordine.
Se ti dà fastidio il rumore.
Se vai a visitare Vienna, la città che fino a ieri
consideravi “da vecchi” e non ci saresti andata nemmeno in gita coi compagni al
liceo.
Se non ne puoi più dei “classici”, né della letteratura né
dell’arte.
Se pensi cose “di destra” e le dici.
Se non sopporti chi non rispetta le regole.
Se alla mattina ti guardi allo specchio e pensi di doverti
truccare subito.
Se ti lavi i capelli tutti i giorni perché così hai la testa
a posto.
Se non puoi più mangiare quello che vuoi quando vuoi.
Se non ci vedi più nemmeno da vicino.
Se ti piace il bollito.
Se hai capito che l’amore eterno non esiste ma che
l’importante è stare insieme.
Se ti preoccupa il meteo.
Se temi la macchina in riserva.
Se compri vestiti comodi.
Se, quando fai una visita medica, la dottoressa è più
giovane di te.
Se ti convinci che i capelli lunghi non siano più opportuni
e nemmeno gli orecchini vistosi.
Se ti dà i nervi la sicurezza inattaccabile degli
adolescenti.
Se pensi alla morte.
domenica 15 novembre 2015
Incomprensioni
“Le incomprensioni sono così strane
sarebbe meglio evitarle sempre
per non rischiare di aver ragione
ché la ragione non sempre serve."
(Tiromancino, “Per me è importante”)
(illustrazione di Nathalie Parain)
giovedì 12 novembre 2015
mercoledì 11 novembre 2015
martedì 10 novembre 2015
Leggendo non cerchiamo idee nuove
“Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi
pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma” (Cesare Pavese)
lunedì 9 novembre 2015
Salisburgo e Vienna
A Salisburgo e a Vienna ho visto, fatto e pensato molte
cose.
Ho visto ai lati dell’autostrada colline ricoperte di boschi
gialli, rossi e verdi come nei quadri di Jawlensky.
Ho visto automobili non superare il limite imposto degli
ottanta chilometri all’ora, e camion andare ancora più piano, talmente piano
che avrei potuto superarli al mio ritmo di corsa.
Ho visto negozi che vendono addobbi natalizi tutto l’anno.
Ho visto luminarie di Natale pronte, ma ancora spente.
Ho visto le casette di legno dei Mercatini di Natale pronte,
ma ancora chiuse.
Ho visto la casa dove vorrei vivere con la mia famiglia.
Ho visto un castello incantato.
Ho cercato di leggere ad alta voce nomi composti da dieci
consonanti e una vocale scritti su cartelli segnaletici o su menu.
Ho mangiato un brodo scuro e salato in cui galleggiavano un
polpettone di carne, pezzi di carote e strisce di frittata.
Ho visto un bimbo, che poteva avere otto mesi, per terra a
pancia in su in un negozio mentre sua mamma si provava orecchini tranquilla.
Ho visto un arcivescovo di Manzù.
Ho visto, nella navata laterale della Chiesa di San Pietro a
Salisburgo, una cappella zeppa di angeli bianchi ed ebeti, che si guardavano
intorno con la bocca aperta e gli occhi storti.
Sono entrata in un cimitero e, al posto delle lapidi in
pietra o in marmo, c’erano deliziosi crocefissi in ferro battuto dipinto.
Ho visto C provarsi un giubbotto di pelle alla Steve Mcqueen
e ho pensato che gli stava bene, ma poi mi è venuto in mente mio padre che a sessant’anni
si fece crescere i capelli e ho pensato che non si può scoprire a
quarantacinque anni di voler un giubbotto di pelle, o forse sì…
Ho visto lo scivolo degli scivoli e mi sono mancati i miei
figli.
Ho scattato un selfie, capolavoro di comicità.
In una nicchia, alta su un muro grigio, ho visto una
prostituta stanca rubare il posto alla Madonna.
Ho visto quattro cetrioli giganti.
Ho visto un uomo in equilibrio su una sfera d’oro.
Ho visto una gigantessa interrata con gli occhi chiusi.
Ho mangiato una fetta di torta Sacher con la panna nella
caffetteria del mitico Hotel Sacher di Vienna ed era buonissima, poi mi sono
guardata intorno e ho visto luci e lampadari che vorrei in casa mia.
Ho comprato due mini torte Sacher e le ho pagate a una
ragazza calabrese che in Italia non trovava lavoro e che allora si è trasferita
a Vienna dove ha trovato subito un posto nella pasticceria Sacher e io le ho
detto che è stata brava e lei mi ha risposto “grazie, ma non è tutto oro quello
che luccica…”.
Ho visto donne guidare camion, taxi, pullman, tram, mezzi
per il trasporto della spazzatura e ho sentito C sorprendersene ogni volta dicendo
che in Austria le donne fanno i mestieri degli uomini e così mi sono sorpresa
della sua sorpresa e ho pensato che da noi il gap non si colmerà mai, o forse lo
colmerà F, ma solo se sarò brava.
Ho mangiato troppa carne e ho pensato che mi sarebbe venuta
la gotta.
Ho mangiato cibo troppo salato e ho pensato che i barbari
mangiavano questo stesso tipo di cibo troppo salato, non i greci e nemmeno i
romani.
Ho macinato chilometri in auto.
Ho capito finalmente dove sono la Stiria e la Carinzia.
Mi sono sentita vecchia e allora ho messo spessissimo le
lenti a contatto.
Ho pensato che dovrei iniziare a truccarmi gli occhi.
Ho visto bellissimi palazzi Art Déco.
A Vienna ho scoperto una città meno ordinata, meno austera e
meno pulita di quanto mi sarei immaginata, e mi è piaciuta.
Ho visitato il Palazzo della Secessione Viennese e mi sono
emozionata e sono stata contenta di avere i capelli rossi come le donne di
Klimt.
Sono andata al Leopold Museum per andare in overdose di Schiele
e invece sono rimasta delusa e in astinenza perché speravo di vedere molti,
molti più quadri, ma quelli che ho visto erano drammaticissimi e bellissimi.
Ho mangiato in un ristorante greco e ho cercato di parlare
greco con il cameriere che però o non era greco o faceva finta di essere greco
o faceva finta di non essere greco.
Ho inaspettatamente comprato un addobbo natalizio il 4 di
novembre.
Ho inaspettatamente comprato un Calendario dell’Avvento per
i bambini il 7 di novembre.
Ogni mattina ho trovato le strade di Vienna bagnate come se
avesse piovuto la notte intera.
Ho visto un edificio progettato da Adolf Loos e mi sono
emozionata.
Ho visto la credenza che vorrei in casa mia.
Ho mangiato in un chiosco wurstel grigliati con crauti,
sottaceti e senape e ho pensato che fosse la cosa più buona del mondo.
Sono andata
in biciclette per le strade di Vienna fino al castello di Schönbrunn e ho
litigato con C perché, in una città piena di piste ciclabili e di gente che va
in bicicletta col casco tutto il giorno, lui voleva farmi credere che se non
avessimo preso le strade in controsenso e se non fossimo saliti sui marciapiedi
non saremmo mai arrivati dove volevamo arrivare, e anche adesso mentre sto
scrivendo m’incazzo e vorrei il divorzio breve.
Mentre su Radio Deejay passava “Lost in the weekend” di
Cesare Cremonini, ho visto C smettere di parlare, ascoltare e poi dire “non è poi
così male questa canzone…” e io sono stata zitta, ma dentro ho pensato che
forse ho ancora qualche speranza.
Non ho visto né il Prater né il Kunsthistorisches Museum né la casa di Feud né i fregi di Efeso. Me li
tengo per la prossima volta.
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