sabato 31 maggio 2014

Il bello della vita secondo me (11)

In uno squallido parcheggio di periferia guardo due amiche che cambiano la ruota alla macchina.
Una signora osserva, passa vicino, si allontana, poi si gira e dice:”Chiamate un uomo.”
Una delle amiche risponde: “ Signora, mica ci vuole un pene per cambiare una ruota.”
Mia figlia capisce, sorride e svita l’ultimo bullone.
Il bello della vita secondo me.


giovedì 29 maggio 2014

Dori/Fabrizio

Dopo il post "Jane/Serge", un’amica mi ha detto che avrei dovuto scriverne uno sui “nostri” Jane e Serge. I nostri Jane e Serge sarebbero Dori Ghezzi e Fabrizio De André.


A ben vedere le analogie tra le due coppie sono poche. È vero che vivono negli stessi anni. È vero che vivono di parole e di musica, ed è vero che Fabrizio e Serge sono sfuggenti e difficili da inquadrare. È vero anche che Dori e Jane fanno pensare a quel tipo di donna che si sottomette al proprio uomo e che non mi è tanto simpatico, forse perché sono una che non si sottomette, e che non fa nemmeno finta di sottomettersi, anche se a volte mi piacerebbe farlo, o almeno provarci per vedere che effetto fa... Le analogie tra le due coppie finiscono qui. Perché Dori è una donna riservata, Fabrizio era un uomo riservato e Fabrizio e Dori sono stati una coppia riservata. Agli antipodi di Jane Birkin e Serge Gainsbourg.
Ho comunque deciso di scrivere di Dori e Fabrizio, anche se non è facile. Scrivere di Fabrizio De André non è facile. Il rischio di apparire banale e superficiale è in agguato. Ma ci provo lo stesso. Per l’amica che legge il blog; per C.; per me stessa e per tutte le volte che, ascoltando la voce di De André e cogliendo la profondità intellettuale ed emotiva delle sue canzoni, mi sono chiesta come deve essere stato essere la sua compagna di vita. Come deve essere stato essere la compagna di vita di un artista così particolare e di un uomo così affascinante.


Fabrizio nasce nel 1940. Negli anni Sessanta è un giovane inquieto, irriverente, fuori dagli schemi. È curioso della vita e affamato di esperienza. Senza pregiudizi e preconcetti, frequenta i suoi amici della Genova bene, ma anche persone di estrazione culturale e sociale diversa. Non è comunista (anzi, in molti a sinistra non lo amano affatto perché non digeriscono le sue presunte origini "perbene", lo accusano di qualunquismo e di trattare nelle sue canzoni temi che non conosce davvero) ma è attratto dagli ultimi, dagli emarginati, dalle anime perse; non è cattolico ma è affascinato dai temi religiosi; non è di destra ma è un individualista. Insomma, a voler rimanere negli schemi, Fabrizio è un anarchico. Un invidiabile spirito anarchico, libero e capace di innamorarsi di tutto.
Nel 1964 scrive “La canzone di Marinella”, Mina la fa sua in maniera incredibile qualche anno dopo, e poi per Fabrizio tutto ha inizio.


Anche Dori negli anni Settanta è famosa. Ha inciso pezzi di grande successo in coppia con il cantante americano Wess, è molto carina, con una voce pulita e cristallina, è bionda e una volta in Russia la scambiano per Brigitte Bardot.


Dori e Fabrizio si incontrano nel 1973. Lui ha un matrimonio alle spalle e un figlio, Cristiano, avuto a ventidue anni. Si lumano in un ristorante, e si piacciono. Nel ‘75 iniziano a frequentarsi e si mettono insieme. 

Fabrizio è un uomo riflessivo, ma anche pigro. Soffre quando si deve esibire in concerto, ma è un perfezionista quando prova o registra in studio. Per sostenere il pubblico beve, fuma e si nasconde nella penombra. 


Ha talento, una voce bassa e profonda, suona bene chitarra e violino, è colto. Dori sembra più solare, più leggera, più semplice. Apparentemente. Dori è dolce e materna. Forte. E forse è questo ciò che Fabrizio trova in Dori: forza e dolcezza. E intelligenza, ovviamente.
Nel ‘76 Dori rimane incinta. Nasce Luvi.


Insieme decidono di vivere in Sardegna, nella tenuta dell’Agnata, in Gallura. Fabrizio ama la Sardegna. Ama la terra, gli animali, la natura, la buona cucina. Ama la cultura contadina, e in Sardegna impara a fare il contadino.
Poi nell’agosto del 1979 Dori e Fabrizio vengono rapiti dall’Anonima sequestri sarda. Sono tenuti prigionieri nei boschi per centodiciassette giorni. Alla fine il padre di Fabrizio paga il riscatto, e vengono liberati. In quei giorni Dori dà prova di carattere e di fermezza. E lui si innamora di lei ancora di più. E ciò non è scontato, anzi. Fabrizio sostiene che senza di lei sarebbe crollato. Centodiciassette giorni, quattro mesi, legati, imprigionati. La coppia poteva uscirne devastata, e invece regge. Insieme sorprendentemente perdonano e comprendono i propri carcerieri. E vanno avanti, con nuovi dischi e nuovi successi.
A dieci anni dal sequestro, e dopo circa quindici anni di convivenza, si sposano a Tempio Pausania. La Sardegna rimane il luogo dove scelgono di vivere, dove Fabrizio si sente a casa.

Apro una parentesi (leggendo le scarsissime notizie che circolano in rete sulla vita privata di Dori e Fabrizio, ho scoperto che Beppe Grillo fu testimone di nozze di Fabrizio e viceversa. Significa che i due erano amici. A questo punto del post - e a pochi giorni dalle elezioni europee - non posso negare che mi piacerebbe conoscere il pensiero di Faber sul Movimento Cinque Stelle e sulla situazione politica de nostro Paese) e la chiudo.

Nel 1990 Dori abbandona il mondo dello spettacolo per problemi alle corde vocali, e forse anche per altro, ma non si sa bene, perché Dori è una donna riservata. Verrebbe da pensare che Dori viva all’ombra di Fabrizio e che cammini al suo fianco ma un po' indietro, come nascosta dalla sua personalità. Ma chi lo sa come vanno veramente le cose nelle coppie, soprattutto nelle coppie riservate... Ciò che è certo è che Fabrizio è un uomo impegnativo, un padre ingombrante, e un marito pieno di fascino ma fragile e pesante allo stesso tempo.

Nel gennaio del 1999 Fabrizio muore prematuramente e per tanti improvvisamente perché in pochi sapevano della sua malattia. 
Una folla immensa ha reso omaggio al cantautore genovese il giorno del suo funerale. C'erano tutti: Dori, i figli, gli amici di sempre, persone "normali", gente ricca e gente povera, giovani e anziani, studenti e ragazzi dei centri sociali, anarchici e pugni alzati e tifosi del Genoa. Diecimila persone lo hanno salutato in silenzio. 
Dori oggi si occupa della Fondazione De André. E sente la sua mancanza giorno. Come quei diecimila. E tanti altri.


mercoledì 28 maggio 2014

Global o no global?

Pochi minuti dopo cena.
“Mamma, gli unici nomi di fiumi che ricordo sono: Po, Ticino, Molgora, Lambro, Tigri ed Eufrate”, confessa sottotono S.
“E il Sesia, dove lo metti il Sesia?”, aggiunge spavaldo F.
“Il Molgora non è un fiume”, si sente di precisare C.
Global o no global?





lunedì 26 maggio 2014

Il bello della vita secondo me (10)

Imbiancare casa.
Una stanza alla volta.
Una stanza a weekend. O una all’anno.
Non importa.
Basta iniziare.
E alla fine non divorziare.
Il bello della vita secondo me.


venerdì 23 maggio 2014

Affari di famiglia

Prima c’era la coppia.
Poi la coppia decide di allargarsi, e si crea la famiglia.
Allora accade uno di questi casi, inevitabilmente:
1. la famiglia annulla la coppia
2. la coppia resiste, nonostante la famiglia
3. la coppia non ce la fa, cede
4. la coppia non ce la fa, si distrae
5. la coppia cambia, e non si capisce cosa diventa
Lei scarta i casi 3 e 4, gli altri le vanno tutti bene.


giovedì 22 maggio 2014

Di nuovo in cima

17 maggio 2014
Ore 12.00
Nives Meroi e Romano Benet sono in cima al Kangchenjunga. Insieme.
Così la montagna è traguardo.                                                                                   
Così la montagna è partenza.
Così la montagna è viaggio.
Così la montagna è silenzio.
Così la montagna è rispetto.             
Così la montagna è vita.
Grandi.


Il bello della vita secondo me (9)

Un piccoletto di quattro anni, col caschetto in testa, in sella a una microbici, vede una ragazzina uscire sudata dalla palestra, e le urla: “Ti amoooooo”.
Lei arrossisce.
Il bello della vita secondo me.


lunedì 19 maggio 2014

The beautiful gene – Anna dai capelli rossi

Sottotitolo: Perché non ho mai letto “Anna dai capelli rossi” di Lucy Maud Montgomery


Da bambina non ho letto “Anna dai capelli rossi”. Ero prevenuta. Così, qualche giorno fa, ho chiesto a S. di leggerlo – e sottolinearlo –  per me. Lei lo ha fatto. E le è piaciuto.
S. è quella tra i miei due figli che non è venuta coi capelli rossi e che per “rimediare” - e per dare il suo contributo al rischio di estinzione che pare corra il gene dei capelli rossi - ha deciso che da grande sposerà un uomo coi capelli rossi, così avrà dei figli coi capelli rossi. Per farlo, e per avere un’ampia scelta, andrà a vivere in Irlanda o in Cornovaglia. Femmina diabolica.
Ecco alcuni dei punti incriminati e incriminanti del romanzo, evidenziati da mia figlia.

"(...) e afferrate le due trecce le mise sotto il naso di Matthew che la guardò stupito. - Secondo lei signore, che colore è questo?
Nonostante la sua inesperienza in fatto di capelli femminili, Matthew rispose senza alcun dubbio: - Rosso.
- Già, è proprio rosso - sospirò la ragazzina. - Ecco perché non posso essere perfettamente felice. Cerco di immaginare che ho dei capelli neri come l'ala di un corvo, ma lo so che sono rossi! Mi si spezza il cuore quando ci penso, ho un grande cruccio (...)"

"- Anche lei sarebbe cattiva se avesse i capelli rossi - replicò Anna sulla difensiva." 

"Squadrò la nuova venuta da capo a piedi ed esclamò acida: - Non ti hanno certo presa per la tua bellezza! Misericordia, come sei magra e bruttina... Non ho mai visto tante lentiggini su una faccia; per forza, con quei capelli rosso carota! Vieni qua, lasciati guardare... Su, avvicinati."

"Sono la persona più felice al mondo, sono perfettamente felice anche se ho i capelli rossi."

"(...) Josie va dicendo che anche una fata coi capelli rossi è ridicola. Ma io non ci faccio caso; con una coroncina di rose bianche i capelli si noteranno meno (...)"

"(...) Quando la vidi la prima volta con quegli occhi enormi, le lentiggini, i capelli color carota, magra come un'acciuga, mi fece impressione: a me piacciono le ragazze in carne come Diana. Ma ora... Non so come mai, quando è insieme alle amiche, nonostante sia meno bella, fa apparire le altre insignificanti. È come vedere degli insipidi fiorellini bianchi accanto a una splendida rosa scarlatta!"

Perché non ho mai voluto leggere “Anna dai capelli rossi”? Credo di poter non rispondere.
F. dai capelli rossi ha deciso, però, di leggerlo. Sono curiosa. La storia continua.


venerdì 16 maggio 2014

La vita è così

“Nella vita ho avuto momenti di assoluta chiarezza, quando per pochi, brevi secondi, il silenzio soffoca il rumore e provo un’emozione invece di pensare e le cose sembrano così nitide e il mondo sembra così nuovo. È come se tutto fosse appena iniziato. Non riesco a far durare questi momenti, io mi ci aggrappo, ma come tutto svaniscono.
Ho vissuto una vita per quei momenti, mi riportano al presente, e mi rendo conto che tutto è esattamente come deve essere… E all’improvviso, lei è arrivata” (dal film “ A single man” di Tom Ford)


mercoledì 14 maggio 2014

Sì, viaggiare

Mi piace viaggiare in macchina. Mi piace svegliare i bambini la mattina presto e partire veloci, con tutto ciò che ci serve nel portabagagli. Mi piace pensare di poter vivere come nomadi. Con poche cose, spostandoci da un luogo all’altro. Alla ricerca di un clima migliore, di spiagge più belle, di montagne più alte, di città da scoprire.
In macchina con me, però, ci sono un marito che ama ascoltare musica d’altri tempi, e due figli che hanno i suoi stessi gusti e che sono stati abituati a porsi e a porre domande…

“Mamma, chi era Pablo? Perché tradisce la moglie? Ma se l’hanno ammazzato, come fa a essere vivo?”
“Mamma, ma perché questo cane vive addosso ai muri e non parla mai?”
“Bambini, forza, tutti in coro: è mai possibile o porco di un cane che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi putta-aaa-neeeee!”
“ Sei minuti all’albaaaa”, “No, papà, questa no, cambia che mi viene da piangere…”, “No, no, non cambiare, a me piace, papà mi racconti la storia di questa canzone?”, “Allora dovete sapere che  Jannacci l’ha scritta pensando a suo padre partigiano morto in guerra e bla bla bla…”
“Bella questa, papà: cosa sarà che fa crescere gli alberi na na na na che fa morire a vent'anni na na na na  cosa sarà a far muovere il vento na na na na, ohhhhhhh cosa saràààààà”
“Papà tu in Jesus Christ Superstar chi vuoi essere?”,  “Erode”, “Figo, io Anna”, “Bravo”, “Uffa, io non voglio essere quella sdolcinata di Maddalena. Maddalena la fa la mamma!, io no, non è abbastanza rock”

Così per ore. Ore.
Poi, basta.
Basta, davvero, e allora...

 ”Okay, ragazzi, è stato bello, adesso mettiamo su Radio Deejay, altrimenti vi giuro che scendo”

Così il viaggio continua. Ma mi sento una guastafeste. Finché non arriviamo a destinazione, e allora mi passa.



martedì 13 maggio 2014

Per vincere domani (?)

Nel 1984 ero pazza di Ralph Macchio.
Trent’anni dopo - chi l'avrebbe mai detto! - ho usato l’eroe della mia adolescenza per comunicare con mio figlio (e con mia figlia, ma soprattutto con mio figlio) e per dirgli un sacco di cose.
Mentre guardavamo “Karate Kid”, abbracciati sul lettone con fuori il temporale che arrivava, ho detto a mio figlio di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno; di essere coraggioso, sicuro di sé e di aver fiducia nelle proprie capacità e potenzialità; di non mollare; di stare da una parte o dall’altra, perché in mezzo non vale; di portare a termine le cose che inizia. Gli ho detto che a volte si deve rischiare, a volte solo provare, e che a volte potrà andare male; che deve mettersi in gioco; che non si deve vergognare di avere un fisico mingherlino, di avere una macchina scassata, di vivere in una casa semplice, di non essere ricco. Gli ho detto che, se gli piace una tipa, deve essere gentile con lei e che quando sarà più grande, se gli piacerà una tipa, non dovrà pensare che non sia alla sua portata, ma ci dovrà provare lo stesso, perché le tipe sono strane e soprattutto hanno gusti strani e che, se uscirà con questa tipa, sarebbe meglio che le offra il gelato o la merenda o la pizza. Gli ho detto che alle feste ci dovrà andare perché si divertirà e che, se non ci andrà, non lo saprà mai che è bello andarci e rimarrà uno sfigato. Gli ho detto che arriverà un momento in cui smetterà di raccontare tutto alla mamma e che non vorrà dire che smetterà di volerle bene. Infine gli ho detto che questo momento è vicino. 


"Quando cammini su strada, se cammini su destra va bene. Se cammini su sinistra, va bene. Se cammini nel mezzo, prima o poi rimani schiacciato come grappolo d'uva. Ecco, Karate è stessa cosa. Se tu impari Karate, va bene. Se non impari Karate, va bene. Se tu impari Karate-Speriamo, ti schiacciano come uva"


lunedì 12 maggio 2014

Il bello della vita secondo me (8)

Accendere la radio alla mattina e pensare che il deejay ha capito chi sono.
E non è Ligabue che sto ascoltando.
Il bello della vita secondo me.


giovedì 8 maggio 2014

Borgen – Il Potere

Era sera, ero sola davanti alla tele, e per caso ho messo su LaEffe. Iniziava “Borgen”, ed è stato amore a prima vista.


“Borgen” è una serie televisiva danese che racconta la vita di Birgitte Nyborg, che di mestiere fa il Primo Ministro. Premetto che quella che stanno dando in televisione adesso è la seconda serie, e che la prima me la sono persa, ma in qualche modo recupererò.

Birgitte è una donna divisa tra lavoro e famiglia, tra pubblico e privato. Cerca di stare in equilibrio, e fa fatica. Che strano. Lei, che di natura sarebbe una "dura e pura", ogni giorno deve prendere decisioni difficili, accettare compromessi, mediare. Lo deve fare in Parlamento (con i suoi avversari politici, ma anche con i suoi più stretti collaboratori), con i media (con stampa e tv, sempre a caccia di scoop scandalistici e notizie in super anteprima), e in famiglia (con un marito e due bambini che alla sera la aspettano a casa). Il bello è che Birgitte ce la fa. Rimane in equilibrio, e non si perde.
Birgitte è una donna normale. Ha tra i quaranta e i cinquant’anni; è bella, si veste bene, si pettina bene, porta dei begli orecchini; è determinata e coraggiosa; ascolta tutti, ma poi decide lei; è affettuosa con i figli, senza essere invadente, nemmeno con la figlia adolescente che con i suoi silenzi la tormenta e la riempie di sensi di colpa (in una puntata la ragazzina rientra a casa e vorrebbe mangiare, la mamma le propone - con un sorriso che dice tutto - di ordinare per telefono una cena thai e lei si rifiuta perché vuole qualcosa di cucinato, pur sapendo perfettamente che la madre non ha avuto, non ha e non avrà tempo di cucinare); fatica tremendamente con quel figo del marito, anche se è evidente che lo ama, ma lui non ce la fa a starle dietro e infatti le chiede il divorzio (sono rimasta che lei firma le carte, ma non smetto di sperare che non si separino, accidenti…); ha una casa normale e accogliente, bianca e allegramente disordinata come sono le case in cui vivono i bambini; nel suo ufficio ci sono sempre piccoli mazzi di fiori freschi a stelo corto; vive fianco a fianco di un giovane e capace spin doctor (bellissimo mestiere, se solo potessi tornare indietro di vent’anni…) che però è un tipo strano che non la racconta giusta, ma che per il momento le è fedele; abita a Copenhagen che è verde, grigia e umida.
Insomma “Borgen” è un bella serie, un prodotto ben pensato e ben confezionato. I dialoghi sono interessanti e per nulla scontati, la sceneggiatura è solida, le tematiche sono attuali, le facce degli attori belle e normali. E quella particolare "rigidità" che caratterizza lo stile scandinavo sia in letteratura sia nel design la ritrovo anche qui, e continua ad affascinarmi e a piacermi.
“Borgen” (che va in onda il martedì alle 21.00 circa su LaEffe - Canale 50 del digitale terrestre - con poca pubblicità e tanti consigli di lettura!) mi fa pensare che per noi donne tutto sia possibile, a patto che si accetti di vivere in equilibrio su un filo sospeso a ventri metri d’altezza dal suolo.

ps nell’ultimo episodio, Birgitte glissa su una domanda di un giornalista così: “Per principio evito di rispondere a domande ipotetiche”. Anch’io, come il Primo Ministro, voglio smettere di rispondere a domande ipotetiche e soprattutto smettere di formularle.

mercoledì 7 maggio 2014

Apartheid?

Nel posto dove vivo ci sono due parchi. In uno i bambini si chiamano Kevin, Melech, Sean e Fatima. Nell’altro Jacopo, Nicolò, Mattia e Giulia. È apartheid? 


martedì 6 maggio 2014

L’età del malessere

“- Ma… non ho soldi-. Avevo speso dieci scellini per andare a ballare, la sera prima (cinque per entrare e uno per depositare il cappotto nel guardaroba, poi avevo bevuto tre bibite perché nessuno mi aveva più chiesto di ballare, dopo che ero caduta. Era successo durante la quadriglia. Forse ero inciampata sul piede del mio cavaliere, non so… Comunque ero finita per terra e mi si era alzata la sottana, così tutti avevano visto le giarrettiere e il resto. Baba si era voltata dall’altra parte, come se non mi conoscesse, e il mio cavaliere se l’era svignata verso l’orchestra. Era stato orribile. Poi mi ero rialzata, avevo sistemato la gonna ed ero andata al piano di sopra. Mi ero seduta sulla balconata ed ero rimasta lì per tutto il resto della serata, a bere bibite gasate. Avevo cercato di far finta di niente, come a dimostrare che il ballo non mi interessava. Intanto, sulla pista, Baba scivolava leggera sotto le luci rosa e centinaia di ragazze e ragazzi danzavano guancia a guancia, su e giù per la sala da ballo, sotto i festoni di carta colorata che pendevano dal soffitto e dondolavano seguendo una musica tutta loro. Poi avevano suonato un valzer e io mi ero dimenticata di tutto quanto e avevo sperato che il signor Gentleman comparisse all’improvviso dal nulla e mi riportasse a ballare per tutta quella notte strana, lunga e dolce, e mi sussurrasse parole romantiche all’orecchio e mi tenesse tra le braccia, anche quando la musica finiva e le ragazze tornavano a sedersi, aspettando che ricominciasse e che qualcuno gli chiedesse di ballare)” ( Edna O’Brien, “ Ragazze di campagna”)

   

lunedì 5 maggio 2014

Memento mori

È un appuntamento fisso. Se siamo a casa il sabato pomeriggio e non abbiamo niente da fare, usciamo in bici a farci un giro per le strade del paese, ci fermiamo a mangiare un gelato al solito posto, e poi andiamo al cimitero.
Per arrivarci facciamo il giro lungo: passiamo sul ponte romano, guardiamo le anatre appisolate al sole, controlliamo che l’acqua del fiume sia sempre lurida, vediamo se ci sono pesci e poi, giù in discesa, veloci e senza frenare, pedaliamo verso il cimitero. Parcheggiamo le bici, le chiudiamo con il lucchetto perché non si sa mai, e facciamo le solite cose: guardiamo le tombe, contiamo a quanti anni le persone sono morte, ci commuoviamo davanti alle tombe dei bambini morti precocemente e a quelle dei soldati caduti in guerra, guardiamo le fotografie e le sculture. Poi arriviamo alla tomba dei bis-nonni. I bambini fanno il segno della croce, recitano una preghiera più o meno corretta – del resto la mamma non è preparata, e il papà soffre di vuoti di memoria - e poi passeggiamo tra le tombe, riflettendo sulla vita. E sulla morte.
L’ultima volta S., femmina diabolica, ha detto: “Mamma, quando morirò, vorrò essere cremata e che le mie ceneri siano sparse sulla cima di una montagna. E una lapide in quel punto dovrà ricordarmi con queste parole: “La vita è come un lungo viaggio. Alla fine, si arriva sempre in un bel posto”.  Mentre F. –  il figlio che ha deciso di essere ateo a dieci anni - dopo aver letto l’epigrafe su una lapide, mi ha chiesto: “Mamma, cosa significa: requiescat?”. “Riposa. Requiescat significa riposa, in latino. E in effetti potremmo pensare alla morte come a un riposo eterno. Cosa ne pensi?”. “Penso che non mi piacerebbe riposare eternamente”. Difficile trovare argomentazioni. Non ci sono argomentazioni. Perché vivere non stanca. Mai. Ha ragione lui e glielo dico. Ogni volta.


ps suggerimento di lettura per genitori che hanno figli che vogliono andare in gita al cimitero: "Così è la vita" di Concita De Gregorio.