Quando ero giovane facevo parte di una squadra di atletica
leggera. Le mie specialità erano la corsa veloce e il salto in lungo. Ma l’allenatore
spesso mi iscriveva a tutte le altre gare, così la squadra avrebbe preso più punti. Ricordo
di aver gareggiato nel lancio del peso e del giavellotto, e in una sconfortante
corsa a ostacoli. Ma ciò che più ho impresso nella memoria è una gara sui mille
metri che mi fecero correre all’Arena di Milano, durante i Giochi delle Gioventù.
Avevo fatto le “mie” gare ottenendo i soliti risultati
mediocri, e non ce la facevo più, ero stremata, correvo e sentivo il cuore
saltarmi fuori dal petto, la bocca amara. Avrei voluto fermarmi, la fatica era
enorme e io ero allenata per lo sprint, non per la resistenza, accidenti. Decisi di rallentare il mio già lentissimo ritmo di corsa. Poi, quasi ferma, alzai gli
occhi dalla pista e vidi mio padre. Era in piedi sugli spalti che batteva forte
le mani e urlava: “Vai Isabella, vai Isabella, vaiiiiii!!!!”.
Resistetti e raggiunsi sconvolta il traguardo. Arrivai non
ultima, ultimissima. Tra me e la penultima ragazza ci saranno stati almeno
cinquanta metri di distacco.
Dopo qualche mese abbandonai l’atletica perché mi impegnava
tanto e io volevo pensare solo allo studio. Quella corsa, però, non l’ho
dimenticata. Mi aveva fatto bene.
Camillo?
RispondiElimina