mercoledì 12 marzo 2014

Ode al Canalone

per C. Perché meglio di così non si può.

"(…) quando sono uscito dalla stazione sommitale della funivia, esattamente 2960 metri, e mi sono affacciato alla svasatura che precipita di sotto, la prima volta confesso di essere rimasto perplesso. Dal ballatoio non si può ancora scorgere l’enorme imbuto ma se ne scorge appena l’inizio. E la pendenza, la livida penombra, non lasciano presagire nulla di buono. Si mettono gli sci, si traversa a destra per una trentina di metri in scivolata diagonale, ci si immerge col batticuore nel botro. La pista non è stata battuta, la neve non sarà assestata, le virate su di un pendio così severo saranno un problema. E se si cade dove ci si fermerà?
Ma la neve tiene, benché non battuta, esposta a nord com’è ha, fino a metà giugno, la perfezione tipica dell’alta montagna (…). Ben presto la stazione della funivia scompare lassù in alto, ci si trova immersi nel cuore del canalone. E all’improvviso le rocce, le creste, i contrafforti, le gobbe che da lontano parevano insulse forme, acquistano, visti da presso, una intrigante personalità.
Che cos’è un canalone? Perché, rispetto alle piste aperte che sono la grandissima maggioranza, offre singolari voluttà? Il canalone è un corridoio, uno scosceso viale, una lunga prigione in cui si resta chiusi. Da una parte e dall’altra impraticabili quinte di rupi. C’è molto più carica di solitudine. C’è un gioco molto più fantastico di luci e di suoni. E c’è l’incanto dell’intimità, lo stesso che si assapora, in parete, su per i grandi camini a diedri (…). Si direbbe che qualcuno ci aspetti, che ci spii di tra le rocce. Ogni angolo, cavità, anfratto, sembra invitarci a restare, promettendo misteriose beatitudini. Nei canaloni, non sulle pareti o sulle creste, vivono gli elfi, gli gnomi, gli antichi spiriti della montagna.
Attraverso il favoloso scenario, la pista si incurva, si allarga, spaziando in vertiginosi anfiteatri, si raccoglie a cucchiaio, concede respiro, poi si restringe di nuovo, si impenna come se dietro quella gobba si spalancasse un impossibile abisso (…).
Altri due canaloni sono giustamente famosi nelle nostre Alpi, tutti e due sopra Cortina: le Tofane e il Cristallo. Quello del Groppera (che brutto, zotico e inelegante nome, però) li supera per potenza architettonica. Mille metri secchi di dislivello, tre chilometri e mezzo di percorso. Dopodiché il divino toboga si estingue a ventaglio su di un vasto pianoro. E qui riprende la febbre.
Presto allo “skilift” che riporterà su alla stazione intermedia della funivia, tornare in cima, rimettere gli sci, buttarsi ancora giù per il favoloso scivolo, scrivere sull’interminabile cateratta bianca, irrigidita tra i dirupi, la nostra piccola fatua personale illusione.
Fino a quando?"
 
(D. Buzzati, "Corriere della Sera" del 18 agosto 1965) 





3 commenti:

  1. Ma che bello! Leggerò qualcosa anche di questo autore allora

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  2. Neo reduce dalla stessa esperienza di Dino, non mi accingo nemmeno a descriverne le sensazioni così magistralmente riportate da cotanto autore

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  3. Ma parla come mangi!

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