venerdì 31 gennaio 2014

Voci della verità bis

In classe di mio figlio stanno facendo un progetto sull’affettività e sulla sessualità. Ogni martedì i bambini lavorano in piccoli gruppi e sono seguiti da giovani psicologi.
Settimana scorsa c’era una psicologa talmente giovane che fino a qualche anno fa era la babysitter di tutti i bambini della zona. F è stato contento di vederla, si sono riconosciuti e si sono salutati bene.
Questo martedì, però, è tornato da scuola e mi ha detto: “Mamma, oggi C non c’era.”
“Ah sì? E chi c’era al suo posto?”
“Uno psicologo maschio.”
“Che bello! Come ti sei trovato?”
“Bene. Gli psicologi, sai, sono tutti uguali, mamma.”


giovedì 30 gennaio 2014

Il pensiero che arriva sul più bello

Possibile che lei, ogni volta che lo guarda negli occhi, qualsiasi cosa stia accadendo, pensi sempre la stessa cosa: “Accidenti, che occhi che ha!”


mercoledì 29 gennaio 2014

Poreno

Ogni volta che passo per Poreno mi accadono due cose: mi sento sul set di un film di David Lynch e rischio un incidente in macchina.
Dovete sapere che a Poreno le strade sono pulite, le villette sono ordinate, i giardini sono precisi; nelle aiuole crescono deliziosi fiorellini dai colori brillanti, l’erbetta è soffice e verdolina in ogni stagione, le altalene e gli scivoli sono solidi e sicuri; i cani sono di razza e vivono bene e al caldo in cucce che valgono più del mio appartamento. Le scuole sono perfette, i bambini sono belli e gentili, le mamme attraenti e contente, i papà affascinanti e realizzati. Le automobili sono nuove, luccicanti, costose. Insomma, Poreno è il luogo perfetto dove vivere.
Ci passo spesso. In macchina, nella mia scassatissima macchina. Ogni volta rallento, mi guardo intorno affascinata e turbata allo stesso tempo. Mi guardo intorno, e cerco il cadavere nascosto. So che prima o poi lo troverò. Un braccio bianco che spunta da un’aiuola fiorita, una scarpa tacco dodici insanguinata ai lati della strada, un ciuccio caduto dal passeggino, un tosaerba abbandonato nel prato, la lama di un coltello che brilla dietro la finestra…

martedì 28 gennaio 2014

Una voce nella notte

22.30. In cameretta una lucina è ancora accesa. Lui e lei, rilassati, guardano un film. All’improvviso una vocina esplode nel buio: “Papààààààà, cos’è il taglio cesaréooooo?”


lunedì 27 gennaio 2014

Marina/Ulay

Questa è una storia che affascina e disturba allo stesso tempo. È la storia d’amore tra due artisti controversi: lei è molto famosa e molto discussa, è una che la ami o che la odi, è Marina Abramovic, la “nonna della performance art” come ironicamente ama definirsi; lui è Ulay, artista tedesco oggi molto meno famoso di lei. I due si incontrano nel 1976 ad Amsterdam, si mettono insieme e creano il sodalizio artistico “The Other”.


Per dodici anni si dedicano forsennatamente a sperimentare i limiti del (proprio) corpo, della (propria) resistenza fisica e mentale, delle (proprie) relazioni umane e di coppia, della relazione tra artista e pubblico. Realizzano performance inquietanti ed estreme, entrate a pieno diritto nei manuali di storia dell’arte contemporanea: come “Death Self” del 1977, durante la quale Marina e Ulay si baciano respirando uno il respiro dell’altra, fino ad arrivare al collasso per eccesso di anidride carbonica; o “Light/Dark” in cui si prendono a schiaffi per ore; o “Relation in time”, in cui rimangono chiusi in una stanza per diciassette ore, da soli, in silenzio, immobili, legati per i capelli; o “Imponderabilia”, in cui è coinvolto anche il pubblico che, per poter entrare in una galleria d’arte, deve passare tra i corpi nudi dei due artisti, fermi ai lati del passaggio; o ancora “Rest Energy” del 1980, in cui Marina tiene un arco dalla parte dell’impugnatura mentre Ulay, dalla parte opposta, tende la corda con una freccia in cocca che mira al cuore di Marina, entrambi si inclinano all’esterno e basterebbe un minimo movimento perché la tragedia avvenga.


Poi arriva la rottura, nel 1988. Affidata ancora una volta a una performance dal forte valore emblematico: “The Lovers”. Marina e Ulay partono per la Cina, raggiungono la Muraglia, lui dal Deserto dei Gobi, lei dal Mar Giallo. La percorrono dalle due estremità per incontrarsi a metà strada. Fanno 2500 chilometri in novanta giorni, si incontrano, si dicono addio e si lasciano. Non si vedranno per ventitre anni.


Nel 2010 lei è al Moma, dove è in corso una retrospettiva a lei dedicata, e dove sta facendo una performance: “The Artist is Present”. Per più di due mesi Marina sta seduta completamente immobile per sette ore al giorno davanti a una sedia libera; i visitatori possono sedersi e guardarla negli occhi per qualche minuto. Sembra incredibile, ma molte persone che provano l’esperienza si alzano con le lacrime agli occhi. Ebbene, indovinate chi è stato tra i primi a sedersi di fronte a Marina? Lui, Ulay. Non posso negare di essermi commossa.




venerdì 24 gennaio 2014

Riflessione del mattino

“Mamma, vero che papà, quando sono nata, ha detto che vuole che mi faccia suora? Ma poi non avrebbe neanche un nipotino…”
La mamma si scopre catechista e spiega ai suoi bambini: “È vero, S. E poi bisogna credere davvero tanto in Dio per decidere di dedicargli la vita e farsi prete o suora”.
F ci pensa su e poi si esprime: “Io, se proprio proprio devo dedicare la mia vita alla religione, piuttosto che prete mi faccio jedi. Che ne dici mamma?” Alla mamma catechista s’illuminano gli occhi.


giovedì 23 gennaio 2014

“Gli sdraiati”

Innanzitutto voglio dire che il titolo del libro di Michele Serra mi piace un casino. “Gli sdraiati”. Trasformare un participio in un sostantivo rende tremendamente chiara l’immagine che si vuole trasmettere: gli “sdraiati” sono persone, giovani, indolenti, stropicciate, lente, annoiate… Invidio le capacità di chi l’ha pensato. Forse l’autore stesso? Mi piacerebbe saperlo. Qualcuno lo sa? Se fosse stato lui inizierebbe a starmi più simpatico.
Poi voglio raccontare questo aneddoto. Io e mio marito abbiamo letto il libro a distanza di pochissimi giorni. Abbiamo letto lo stesso libro in pratica, ma non in teoria. Mi spiego meglio. Il libro l’ha letto prima lui, l’ha terminato e mi ha detto: “Isa, non leggerlo, non fa per te. E poi, ti dico la verità, io non vorrei essere nei panni del figlio “sdraiato” di Michele Serra”.
Ovviamente io l’ho letto comunque, ma non posso negare di averlo fatto con le parole di mio marito in testa. Conclusione? Probabilmente abbiamo letto un libro diverso, perché a me “Gli sdraiati” è piaciuto, e anche molto. Mi ha fatto pensare, mi ha fatto sorridere, ha messo in discussione alcune mie granitiche certezze, ho condiviso alcune opinioni, ho fatto mente locale su cosa potrebbe capitare a me e ai miei figli tra qualche anno non troppo lontano. E poi il finale. Il finale è bellissimo, e si svolge pure in montagna. Che dire? che mio marito non stava bene? che forse ha fatto finta di leggere? oppure che, nonostante i venti meno due anni di convivenza, rimango per lui una misteriosa e spero affascinante sconosciuta? Non saprei. Non abbiamo avuto tempo di riparlarne.


 
PS comunque, se fossi io il figlio di Serra, non ci starei poi così male…

mercoledì 22 gennaio 2014

Loop


È faticoso sapere, perché poi devi prendere una posizione.
È faticoso sapere, perché poi dovresti prendere una posizione.
È faticoso sapere, perché poi non vuoi prendere una posizione.
È faticoso sapere, perché poi non puoi prendere una posizione.
È faticoso sapere, perché poi non hai il coraggio di prendere una posizione.
È faticoso sapere, perché poi ti viene chiesto di prendere una posizione.
È faticoso sapere, perché poi non sai che posizione prendere.
È faticoso sapere.


martedì 21 gennaio 2014

Voci della verità

Milano. Un pomeriggio piovoso a Palazzo Reale. Mostra "Il Volto del '900". Diciassette bambini e quattordici adulti. Una guida, giovane e preparata.
La visita ha inizio.
 
Francis Bacon: “Autoritratto”, 1971.
 
 


















“ Anche noi se lo guardiamo questo ritratto non è che siamo molto felici. Cosa dite bambini?”, domanda la guida.
Una bimba sospirando risponde: “Eeee già.”
Un’altra riflette ad alta voce: “Sembra che il buio se lo divori.”
Penso tra me e me: “Ha dieci anni e ha già capito tutto.”
 
Jacques Lipchitz: “Testa”, 1915.
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Ma da che parte è che si deve guardare?” si domandano i bambini. Girano intorno alla scultura, e ci mettono davvero poco a capirlo. Con grande sorpresa degli adulti, che comunque rimangono non convinti.

Juan Gris: “L’uomo della Turenna”, 1918.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Bambini, anche Gris è un cubista, come Picasso”, spiega la guida.
“A quanto pare!” esclama sicuro un maschietto.
Qualcuno dice che nell'opera c'è uno spruzzino. Gli adulti ridono. Poi guardano meglio. E lo vedono anche loro lo spruzzino, a destra, più o meno a metà quadro.

Henry Matisse: “Jeanette IV”, 1910.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La guida: “Bambini, secondo voi Jeanette era contenta di questo ritratto che le ha fatto Matisse?”
“Per me lei l’ha ammazzato Matisse” risponde una bimba, lapidaria.

 Renè Magritte: “Lo stupro”, 1934.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’opera che tutti aspettiamo. Quella che più ci preoccupa. Preoccupa noi adulti.
Una bimba si avvicina al quadro molto lentamente ma tantissimo, davvero tantissimo, poi soavemente esclama: “Che belli i capelli, che belli, sono davvero belli”.
 
Pablo Picasso: "Il cappello a fiori", 1940.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Ma il cappello come fa a stare in equilibrio?”
Domanda del tutto sensata. Fin troppo sensata.

Pablo Picasso: “Ritratto di Donna”, 1938.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Ma questa signora ha una o due mani?” si domandano i bambini e si mettono a contare le dita. Il numero non torna, accidenti.

Antonio Saura: “Ritratto immaginario di Tintoretto”, 1967.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Secondo me l’ha fatto coi piedi” dice una bambina.
E osa esprimere ad alta voce un dubbio che viene.
 
Infine, l’opera che F, mio figlio, ha preferito.
Max Ernst: “L’imbecille”, 1961.
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nella mia testa una serie di punti interrogativi: ha scelto questa scultura perché ha la faccia di Paperino? l'ha scelta per il titolo, che è una parola di quelle che non si dicono? oppure è un surrealista anche lui, e ci vede quello che io non sono capace di vederci?

 

 

venerdì 17 gennaio 2014

Rossana/Walter

Circa un mese fa è morta Rossana Podestà. La compagna di una vita di Walter Bonatti, il grande alpinista ed esploratore.
Mi piace ricordare come i due si sono incontrati e innamorati.
La storia inizia così. Lui è al colmo della fama, ha conquistato cime impossibili, ha esplorato luoghi lontani e sconosciuti, viaggia per il mondo. È un uomo affascinante, difficile, complesso, un uomo che – inutile negarlo - alle donne piace, anche molto, e lui lo sa e infatti è un dongiovanni. Lei è un’attrice di successo, molto bella. Un giorno dichiara spaccona a un giornale: “Se mi trovassi su un’isola deserta? Vorrei con me Walter Bonatti. Non ho dubbi.” Lui lo viene a sapere e non perde tempo, accetta il gioco e a sua volta dichiara: “A quando la partenza?” Lei gli fa avere il suo numero di telefono. Lui ovviamente non esita. Walter è un uomo che in generale non esita. La chiama e si danno un appuntamento: Roma, 2 giugno 1981, ore 11, Ara Coeli. Lei lo aspetta per tre ore. Lui non arriva. Perché la sta aspettando all’Altare della Patria. Lei per caso gira l’angolo, lo incontra ed esclama: “E tu saresti un esploratore? A Roma non sai trovare l’Ara Coeli? Ma se non mi trovi, almeno cercami.” Poi mangiano insieme.
Non si lasceranno più. Per trent’anni insieme. Con un'unica assurda eccezione: Rossana non potrà stare vicino al suo uomo che sta morendo di tumore in un ospedale romano. Il motivo? Non sono sposati.
Strano paese il nostro.
Ciao Rossana, salutami Walter, se lo vedi.


giovedì 16 gennaio 2014

Campioni in erba?

A cena la mamma impicciona domanda: “Bambini ditemi il vostro proposito per il 2014, se volete e se lo avete”.
S: “Imparare a fare la rovesciata indietro”.
F: “A nuoto, passare nel gruppo delle Rane”.
La mamma impicciona accusa il colpo, e ripesca dalla libreria “Open” di Agassi.


mercoledì 15 gennaio 2014

Conversazione privata

Lei a lui: “Perché non riesci a dire quello che hai nella testa?”
Lui a lei: “Perché non riesci a smettere di dire quello che hai nella testa?”




martedì 14 gennaio 2014

Camille/Auguste

Sono stata alla mostra su Auguste Rodin a Palazzo Reale.
Tanti anni fa, quando ero al liceo, complici la prof di arte e il film con Isabelle Adjani, la storia d’amore tra Rodin e Camille Claudel mi aveva turbato e appassionato. Poi, è finita nel dimenticatoio. Come tante altre cose di quei tempi lontani.


Fine Ottocento. Auguste e Camille sono maestro e allieva. Lei è pazza di lui. Giovanissima (lei diciotto anni, lui quarantadue, per intenderci), bella (occhi blu e capelli neri, per intenderci), affascinante, talentuosa, anticonvenzionale, forte, libera, con una grande immaginazione… insomma, per Rodin impossibile resisterle. Si mettono insieme. Lui, però, furbetto, non lascia Rose, la compagna tranquilla e convenzionale di un’ipotesi di vita dove poter fare ciò che gli pare, e che solo alla fine, da vecchio, si deciderà a sposare. Camille ne soffre. Giustamente.
Camille ha un talento impressionante. Lavora il marmo da sola, con forza virile, “sbozza” la pietra senza bisogno d’aiuti, usando tecnica e mestiere. Il maestro, invece, sfrutta la bottega. Camille gli fa da modella, lavora con lui, interviene sulle sue sculture eseguendo spesso parti come mani e piedi, parti impegnative. Si influenzano a vicenda. Producono capolavori. Lui è davvero famoso, lei anche, ma meno.
Camille è strana, la madre borghese non la ama, l’adorato fratello non la capisce, il suo equilibrio emotivo è fragilissimo. Rodin l’abbandona, o forse si lasciano, non si sa bene, in ogni caso lei è distrutta. Ha una relazione con Debussy, il musicista, ma non serve. Diventa sempre più strana. Scolpisce opere straordinarie, ma ne distrugge alcune, ossessionata dall’idea che Rodin gliele voglia copiare o rubare. Alla morte del padre i familiari la rinchiudono in manicomio, nonostante i pareri contrari dei medici. Ci sta per trent’anni (da quarantanove anni a settantanove, per intenderci), senza mai scolpire. Viene dimenticata. Sua madre non andrà mai a trovarla. Morirà sola. Le sue opere sono al Museo Rodin, a Parigi, in una sala a lei dedicata, voluta da Rodin.

P.S. l'anno scorso in Francia è uscito il film di Bruno Dumont "Camille Claudel 1915" dedicato agli anni della reclusione psichiatrica della scultrice. Il ruolo di Camille lo interpreta Juliette Binoche. Non riesco a capire se è prevista l'uscita del film anche nelle sale italiane... sigh!

sabato 11 gennaio 2014

Harry Quebert! Chi era costui?

Se non hai letto “La verità sul caso Harry Quebert” non proseguire. Non svelerò nulla di rilevante, ma di questo post capiresti poco.


Quando leggo, mi piace annotarmi riflessioni, spunti, frasi. E durante la lettura del bestseller di Joel Dicker ho scritto queste note:

- le pagine tratte dal libro che Harry Quebert trentacinquenne sta scrivendo sono insipide, come se a scriverle fosse un quindicenne, ma forse è per questo che Nola e Harry s’innamorano, perché Harry ragiona e scrive da quindicenne.
- Come è possibile che Harry si faccia correggere da Nola quindicenne la bozza di quello che già sappiamo diventerà il suo capolavoro?
- Una storia d’amore incomprensibile, quella tra Nola e Harry. I dialoghi tra i due sono il nulla.
- Che fatica non mollare ( e sono a pagina duecento…).
- Significa avere dei pregiudizi quando si pensa che un uomo di trentacinque anni e una ragazza di quindici abbiano poco da dirsi?
- Ma quanto la fa lunga, ma quanto si ripete.
- Alcuni personaggi sono al limite della macchietta e risultano fastidiosi. La madre di Mark, ad esempio, talmente scema da essere poco credibile; Luther Caleb, con quella parlata assurda; il poliziotto Travis, un tontolone; il padre di Nola, un prete che guida una Harley.
- I personaggi femminili sono piuttosto patetici. È vero che il contesto è quello della provincia americana a metà degli anni Settanta, ma forse l’autore – che è molto giovane - si è fatto prendere la mano.
- “Cancro dell’amicizia” ben definisce un’amicizia destinata a finire, più o meno lentamente, ma inesorabilmente e drammaticamente. Nel libro, è quella tra Harry e Mark, nella vita quella tra tanti.

A un certo punto ho smesso di prendere appunti. A circa tre quarti di libro. Perché è a tre quarti di libro che tutto finalmente prende un senso e le mie annotazioni/dubbi trovano più o meno risposta.
“La verità sul caso Harry Quebert” è un romanzo che si fa leggere, la suspense c’è, la trama e l’intreccio sono congegnati a dovere, e alla fine il cerchio si chiude bene. Ma non ne sono del tutto convinta.
Caro Joel, rimaniamo così: ti lascio in stand-by fino al prossimo romanzo, poi deciderò se mi piaci o no.

venerdì 10 gennaio 2014

10 gennaio

"Né adagio né presto altri tre mesi erano passati. Natale si era già dissolto nella lontananza, anche il nuovo anno era venuto portando per qualche minuto agli uomini strane speranze. Giovanni Drogo già si preparava a partire...
... Egli continuava a ripetersi che questo era un avvenimento lieto, che in città lo aspettava una vita facile, divertente e forse felice, eppure non era contento.
Il mattino del 10 gennaio entrò nell'ufficio del dottore, all'ultimo piano della Fortezza." (D. Buzzati, "Il deserto dei Tartari")



giovedì 9 gennaio 2014

“Ma come porti i capelli bella bionda”

Lei li vorrebbe come Rapunzel.
Ma ha quarantacinque anni.
“Ci penso su”, continua a dire a se stessa.
Intanto crescono, crescono, crescono.
Adesso rischia di sembrare una veterofemminista.
Le piace rischiare?


martedì 7 gennaio 2014

Indovina con chi esco a cena

A volte, quando sono triste e stanca, penso: “isa, stasera esci a cena. Decidi tu con chi.” La scelta cambia a seconda dello stato d’animo, della vicinanza o meno del ciclo e, soprattutto, dell’esistenza o meno di un argomento che mi ossessioni il cervello. Come ultimamente avviene con la “montagna”. Non a caso, da qualche mese a questa parte, la decisione sarebbe: Reinhold Messner, l’uomo più coraggioso del mondo.
Ne subisco il fascino in modo patologico. E pensare che quando ho avuto davvero l’occasione di parlarci – camminavo al suo fianco lungo un sentiero di montagna affacciato sulle Odle! – sono rimasta muta come un pesce… Vabbè, nel mio sogno a occhi aperti, a cena ci uscirei e ci parlerei e lo ascolterei e gli domanderei: ma cosa si prova a stare soli lassù nel silenzio? è vero che è come una droga e non si riesce a smettere? e le notti come passano? e quando arrivi in cima e inizi a scendere cosa succede? e, senti Reinhold, mi porti sulla Grigna? ma è vero che giù ti aspettava la tua compagna? lo sai che ho visitato i tuoi musei e sono geniali? e come vivi l’età che cambia e avanza? è vero che non sai nuotare? e dimmi un po’ che fine ha fatto Cesare Maestri? E via così fino alle tre del mattino.
Se Reinhold mi desse buca? Nessun problema, ho pronta l’alternativa: uscirei con Linus, per divertirmi e riuscire a smentire l’opinione che sia uno snob. E gli chiederei di correre insieme domani. Piano, però. Come corro io. Piano.
 
 

domenica 5 gennaio 2014

Lo sciatore provetto


Sulla seggiovia la mamma sciatrice è seduta vicino a due ventenni, un maschio e una femmina. Cosa hai fatto a Capodanno? Hai visto Tizio? No, ho visto Caio. Sai che Pinco domani sale? Guarda che bello, voglio imparare anch’io il telemark. Ma sai che Pallino sta prendendo lezioni, bla bla bla.
A un certo punto la ragazzina dice: “Oggi c’è davvero il mondo. Non ti dico che rincoglioniti: ma come si fa a fermarsi in mezzo alla pista? E quelli che scendono in diagonale e la occupano tutta? Ma il peggio sono i genitori che non sanno sciare e pensano di insegnare ai propri figli, che tristezza”. La mamma sciatrice ascolta, e guarda avanti impassibile.
La risalita finisce, raggiunge il resto della famiglia e tutti insieme affrontano la discesa: lui e lei belli fluidi, i piccoli ben compatti, giù a uovo. A un certo punto la mamma sciatrice si ferma a bordo pista per tirare il fiato e lo vede. Non crede ai propri occhi: piantato in mezzo alla pista, con una tuta Colmar viola e fucsia del 1989 che tira sui fianchi e in testa un cappellino da barca, un papà sta urlando alla figlia: “Avanti, va avanti, sci paralleli, cribbio, hai 80 metri di diagonale, avanti, va avanti!”. La bambina, più a valle del papà, sembra disarticolarsi in uno spazzaneve estremo. Cade. Lui la raggiunge e la mamma sciatrice lo vede sciare… Ma perché, si domanda, perché ci trasformiamo in mostri del genere?

sabato 4 gennaio 2014

Un esperimento che non ripeterò

La mamma ha chiesto ai suoi bambini di scegliere una filastrocca tra quelle raccolte in “Rime di rabbia” di Bruno Tognolini. Di sceglierla non a caso, ma riflettendo su quale esprime meglio l’emozione che pensano di provare più frequentemente.
La mamma non sa spiegare perché l'ha fatto, sa solo che non lo rifarà mai più.
Ebbene, F ha scelto questa:
 
“Prima rima del branco”
Voi ridete, bisbigliate
Quando arrivo ve ne andate
Io son solo, sono stanco
Ma voi siete solo un branco
Siete un gregge scemo e duro
Quando arriverà il leopardo del futuro
Io da solo scapperò
E voi in branco no

Mentre S, femmina diabolica, ha preferito quest'altra:
 
“Rima di rabbia gelata”
Io non avevo colpa e m’hai punito
Io non l’avevo fatto ciò che hai detto
Quando son io che sbaglio e l’ho capito
Sento un fuoco di rabbia dentro il petto
Ma ora non ho sbagliato e sento un ghiaccio
Ora hai sbagliato tu
E io che faccio
 
Potevano scegliere tra cinquanta filastrocche, e hanno scelto proprio queste.
La mamma deficiente è in preda alla paranoia e vuole andare in analisi.


 
 

 

giovedì 2 gennaio 2014

Proposito per l'anno nuovo?

“Io continuo a lavorare con i materiali che ho e con ciò che sono. Sono onnivoro di sentimenti, di esseri, di libri, di avvenimenti e di battaglie. Mi mangerei tutta la terra. Mi berrei tutto il mare” (P. Neruda, “Confesso che ho vissuto”)