lunedì 27 gennaio 2014

Marina/Ulay

Questa è una storia che affascina e disturba allo stesso tempo. È la storia d’amore tra due artisti controversi: lei è molto famosa e molto discussa, è una che la ami o che la odi, è Marina Abramovic, la “nonna della performance art” come ironicamente ama definirsi; lui è Ulay, artista tedesco oggi molto meno famoso di lei. I due si incontrano nel 1976 ad Amsterdam, si mettono insieme e creano il sodalizio artistico “The Other”.


Per dodici anni si dedicano forsennatamente a sperimentare i limiti del (proprio) corpo, della (propria) resistenza fisica e mentale, delle (proprie) relazioni umane e di coppia, della relazione tra artista e pubblico. Realizzano performance inquietanti ed estreme, entrate a pieno diritto nei manuali di storia dell’arte contemporanea: come “Death Self” del 1977, durante la quale Marina e Ulay si baciano respirando uno il respiro dell’altra, fino ad arrivare al collasso per eccesso di anidride carbonica; o “Light/Dark” in cui si prendono a schiaffi per ore; o “Relation in time”, in cui rimangono chiusi in una stanza per diciassette ore, da soli, in silenzio, immobili, legati per i capelli; o “Imponderabilia”, in cui è coinvolto anche il pubblico che, per poter entrare in una galleria d’arte, deve passare tra i corpi nudi dei due artisti, fermi ai lati del passaggio; o ancora “Rest Energy” del 1980, in cui Marina tiene un arco dalla parte dell’impugnatura mentre Ulay, dalla parte opposta, tende la corda con una freccia in cocca che mira al cuore di Marina, entrambi si inclinano all’esterno e basterebbe un minimo movimento perché la tragedia avvenga.


Poi arriva la rottura, nel 1988. Affidata ancora una volta a una performance dal forte valore emblematico: “The Lovers”. Marina e Ulay partono per la Cina, raggiungono la Muraglia, lui dal Deserto dei Gobi, lei dal Mar Giallo. La percorrono dalle due estremità per incontrarsi a metà strada. Fanno 2500 chilometri in novanta giorni, si incontrano, si dicono addio e si lasciano. Non si vedranno per ventitre anni.


Nel 2010 lei è al Moma, dove è in corso una retrospettiva a lei dedicata, e dove sta facendo una performance: “The Artist is Present”. Per più di due mesi Marina sta seduta completamente immobile per sette ore al giorno davanti a una sedia libera; i visitatori possono sedersi e guardarla negli occhi per qualche minuto. Sembra incredibile, ma molte persone che provano l’esperienza si alzano con le lacrime agli occhi. Ebbene, indovinate chi è stato tra i primi a sedersi di fronte a Marina? Lui, Ulay. Non posso negare di essermi commossa.




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