Questa è una storia che affascina e disturba allo stesso
tempo. È la storia d’amore tra due artisti controversi: lei è molto famosa e
molto discussa, è una che la ami o che la odi, è Marina Abramovic, la “nonna
della performance art” come ironicamente ama definirsi; lui è Ulay, artista
tedesco oggi molto meno famoso di lei. I due si incontrano nel 1976 ad
Amsterdam, si mettono insieme e creano il sodalizio artistico “The Other”.
Per dodici anni si dedicano forsennatamente a sperimentare i
limiti del (proprio) corpo, della (propria) resistenza fisica e mentale, delle
(proprie) relazioni umane e di coppia, della relazione tra artista e pubblico. Realizzano
performance inquietanti ed estreme, entrate a pieno diritto nei manuali di
storia dell’arte contemporanea: come “Death Self” del 1977, durante la quale Marina
e Ulay si baciano respirando uno il respiro dell’altra, fino ad arrivare al
collasso per eccesso di anidride carbonica; o “Light/Dark” in cui si prendono a
schiaffi per ore; o “Relation in time”, in cui rimangono chiusi in una stanza
per diciassette ore, da soli, in silenzio, immobili, legati per i capelli; o “Imponderabilia”,
in cui è coinvolto anche il pubblico che, per poter entrare in
una galleria d’arte, deve passare tra i corpi nudi dei due artisti, fermi ai
lati del passaggio; o ancora “Rest Energy” del 1980, in cui Marina tiene un
arco dalla parte dell’impugnatura mentre Ulay, dalla parte opposta, tende la
corda con una freccia in cocca che mira al cuore di Marina, entrambi si
inclinano all’esterno e basterebbe un minimo movimento perché la tragedia
avvenga.
Poi arriva la rottura, nel 1988. Affidata ancora una volta a
una performance dal forte valore emblematico: “The Lovers”. Marina e Ulay
partono per la Cina, raggiungono la Muraglia, lui dal Deserto dei Gobi, lei dal
Mar Giallo. La percorrono dalle due estremità per incontrarsi a metà strada. Fanno
2500 chilometri in novanta giorni, si incontrano, si dicono addio e si lasciano.
Non si vedranno per ventitre anni.
Nel 2010 lei è al Moma, dove è in corso una retrospettiva
a lei dedicata, e dove sta facendo una performance: “The Artist is Present”. Per
più di due mesi Marina sta seduta completamente immobile per sette ore al
giorno davanti a una sedia libera; i visitatori possono sedersi e guardarla
negli occhi per qualche minuto. Sembra incredibile, ma molte persone che
provano l’esperienza si alzano con le lacrime agli occhi. Ebbene, indovinate
chi è stato tra i primi a sedersi di fronte a Marina? Lui, Ulay. Non posso
negare di essermi commossa.
più che commovente direi....
RispondiElimina